Autobrennero tenta l'in-house con l'Ue
La proroga è improbabile, ma liquidare i privati costa
Trento, 27 aprile 2013 - La speranza del presidente Pacher e del suo braccio destro infrastrutturale De Col, è che il rinvio della risposta delle direzioni generali mobility e internal market della Commissione Ue alla richiesta di un'alternativa alla gara europea per la concessione di A22 - dopo il confronto avvenuto a Bruxelles il 22 marzo - non preluda a un «no» secco. Ma, semmai, all'indicazione dell'ipotesi B presentata dalla Provincia di Trento - stavolta con la presenza e l'appoggio dei dirigenti del ministero italiano dei trasporti - e cioè: la trasformazione dell'Autobrennero spa, attualmente a capitale misto pubblico-privato, in una società in-house, cioè totalmente pubblica, con la maggioranza saldamente in mano alla nostra Regione. L'ipotesi non è una novità, e il cda di Autobrennero l'aveva valutata e approvata il 4 dicembre 2010: soci pubblici e privati insieme, con un breve documento di 9 righe, avevano detto sì all'idea inizialmente avanzata dal commissario governativo al tunnel Mauro Fabris, «una società di corridoio in forma consortile che sovraintenda, in qualità di authority, alla gestione del traffico ferroviario ed autostradale insistente lungo l'asse del Brennero».
Ma il problema è: per la Commissione europea che ha sempre detto «la gara è la strada maestra» difendendo il fondamentale principio della libera concorrenza, la prospettiva dell'in-house cambia davvero le cose, o alla fine incarta sotto mentite spoglie una proroga di 40 anni o mezzo secolo all'attuale concessionaria?
«Giuridicamente sono due cose assai diverse», si limita a dire Raffaele De Col, che comunque sta mettendo a punto un corposo dossier per rafforzare il progetto in-house, se le direzioni di Bruxelles aprissero (come in piazza Dante si spera) uno spiraglio. Paolo Duiella aggiunge: «Tre anni fa avevamo fatto le nostre valutazioni, anche sui costi della fuoriuscita dei privati» (che vanno «liquidati» a prezzi di mercato, s'intende) «e l'ipotesi era giuridicamente percorribile e finanziariamente sostenibile».
In altre parole, non avrebbe svenato gli enti pubblici. Ma i conti veri andranno fatti solo di fronte a un'ipotesi vera: il patrimonio netto dell'Autobrennero spa, mezzo miliardo di euro, è un parametro di riferimento, ma il valore della società dipenderà dal calcolo degli utili cessanti nell'arco della durata della prossima concessione (al netto però dei costi vincolati per ottenere il rinnovo, o per vincere la gara). Insomma, inutile fare delle previsioni sugli esborsi monetari che comporterebbe la totale «pubblicizzazione» dell'A22.
Si può invece tranquillamente prevedere che non sarà semplice sciogliere i problemi giuridici e fiscali: il fondo incrociato (550 milioni a fine concessione, 30 aprile 2014) è detassato per legge; se andasse a finire (secondo quanto prevede il patto Trento-Roma) come quota di capitale nella Tfb che è la spa italiana che ha il 50% (maggioranza Rfi-Fs) della società europea del tunnel Bbt, secondo alcune interpretazioni fiscalmente rigoriste potrebbe configurare addirittura una truffa ai danni dello Stato, perché utili detassati per fini pubblici si trasformerebbero in quote private di capitale. Non solo: I'in-house potrebbe costringere la concessionaria-secondo le norme Ue - a rinunciare alle sue società controllate «commerciali».
Inoltre, dal punto di vista politico, le autonomie fanno fatica ad argomentare di garantire meglio, rispetto a un proprietario privato, le future esigenze di finanziamento del tunnel di base: la gara Anas, infatti, prevede la prosecuzione degli accantonamenti, peraltro stabiliti dalla legge del 2010 che prevede 32,4 mln l'anno da destinare alla ferrovia.
Intanto, l'Anas non ha ancora aperto le buste, e non ha avviato la fase 2 della gara. Dipenderà anche dal nuovo governo Letta (l'amicissimo dell'autonomia trentina): se tirasse fuori dal computo del debito pubblico le spese per infrastrutture, come i 9 miliardi per il Brennero, sarebbe una bella svolta. Ma non è la prima volta che i nostri governanti si illudono che a Bruxelles i ragionamenti politici facciano breccia nei ragionamenti degli eurotecnocrati, che amano le gare più che gli inciuci.