Castellucci: Gronda, dal dibattito la soluzione migliore
Il Secolo XIX ha pubblicato l'intervento dell'Ad di Autostrade per l'Italia, tratto dal primo numero del nuovo magazine "Agorà"
Roma, 4 dicembre 2012 – Il tema del consenso del territorio su opere infrastrutturali di valore ed utilità che vanno al di là dello stretto ambito territoriale resta ampiamente "irrisolto", salvo che nei Paesi con una forte impronta centralista o nei Paesi con standard di vita molto bassi in rapporto alle potenzialità di crescita, nei quali il consenso può essere "comprato" con un immediato e percettibile miglioramento delle condizioni di vita. In sostanza nella costruzione di una nuova autostrada è più facile attraversare una favela brasiliana, nella quale l'operazione consente di portare acqua, luce, gas e altri servizi primari che in precedenza mancavano, che passare a distanza di qualche chilometro da una città europea.
Si tratta di un grande tema "irrisolto" perché è impossibile regolare per legge le modalità e le condizioni con le quali si può assicurare la massimizzazione dell'interesse collettivo allargato, anche superando dubbi, resistenze o opposizioni a livello locale. E perché purtroppo è connaturata alle democrazie mature la prevalenza dei diritti "forti" di pochi rispetto agli "interessi collettivi" di molti (e pertanto tendenzialmente più "diluiti").
Sono dati di fatto e ogni tentativo di aggirarli è destinato a fallire. Ma si può far molto per minimizzare le inefficienze che ne derivano e rendere più efficiente il processo di aggregazione del consenso.
Non mi riferisco alle soluzioni individuate negli anni '90 a supporto dei grandi progetti infrastrutturali (come alta velocità e variante di valico in Italia), essenzialmente costituite da estenuanti negoziazioni delle cosiddette opere compensative "non causa-effetto" e più ampiamente delle compensazioni economiche (non agli individui, ma alle amministrazioni).
Il loro costo si è rilevato ingentissimo - parliamo di miliardi di euro - e la ricaduta sulla popolazione a macchia di leopardo.
E' su un altro piano, piuttosto, che si deve operare: quello del confronto e della trasparenza. In quest'ottica il Dibattito Pubblico può essere uno strumento valido. E' stato dimostrato in Francia, dove questo strumento è previsto dalla legge, e a mio avviso anche in Italia, dove è stato adottato dal Comune di Genova e da Autostrade per l'Italia per il progetto "Gronda di Ponente". Ma bisogna essere consapevoli delle finalità e potenzialità del Dibattito Pubblico. Nella prima esperienza in Italia di dibattito pubblico - relativa appunto alla Gronda di Ponente - ci eravamo posti due obiettivi: quello di condividere con la popolazione (ovvero con tutti coloro che avevano interesse ad investire il loro tempo per aiutarci a trovare la migliore soluzione) varie opzioni progettuali al fine di individuare la più utile e desiderabile perla collettività, e quello di migliorare l'impatto del progetto dell'opzione prescelta. Ritengo che entrambi gli obiettivi siano stati raggiunti e il secondo, in particolare, molto al di là delle nostre aspettative. A testimonianza del fatto chela conoscenza diffusa ed il pragmatismo sono un valore troppo poco "valorizzato", anche da parte degli amministratori locali.
Il progetto della Gronda di Genova emerso dal Dibattito Pubblico è infatti non solo meno impattante, ma anche più semplice ed economico da eseguire. E' un risultato solo in apparenza sorprendente. Infatti tutte le normative introdotte in Italia negli ultimi dieci anni, vincolanti e gravosissime (con le associate responsabilità penali), hanno gradualmente trasformato i progettisti italiani in esperti giuridico-tecnici con discrezionalità quasi nulla, per i quali la frugalità e l'essenzialità del progetto passa forzatamente (e troppo spesso) in secondo piano.
Bisogna essere però consapevoli della risposta che un Dibattito Pubblico non può e non deve dare: se fare o non fare l'opera. O detto diversamente, se la costruzione dell'opera rappresenta un ragionevole compromesso tra tutela dei diritti locali e soddisfacimento di interessi allargati. E' una risposta, questa, che il Dibattito Pubblico non può dare per due motivi. Il primo consiste nel fatto che ad un Dibattito Pubblico hanno interesse a partecipare coloro che hanno un forte interesse immediato e "localistico" (difensivo nella maggior parte dei casi), ma non coloro che ne hanno un vantaggio diluito nel tempo (ad esempio un trasportatore che passa in quelle zone solo di rado). Il secondo, ed ancora più sostanziale motivo, è che ogni decisione di nuova infrastrutturazione è destinata a incidere per decenni nella vita (e nei portafogli) dei cittadini. Richiede pertanto di essere coerente con una visione di sviluppo di lungo termine dell'economia, dell'urbanistica, della mobilità del territorio in cui si inserisce. Usando due aggettivi a volte abusati, potremmo dire che si tratta di una decisione "strategica" e "politica".
In sostanza il Dibattito Pubblico, a mio avviso, mai potrà dare una risposta conclusiva e scientifica sull'alternativa tra "migliore opzione possibile" e "opzione zero". Ovvero se fare o no l'opera.
Si potrebbe obiettare che è proprio quello del "fare" o "non fare" l'ostacolo principale, il cui superamento si vorrebbe demandare al Dibattito Pubblico, e che in mancanza di questa decisione a monte il Dibattito Pubblico rimane un'arma spuntata. Mai così solo apparentemente: l'esperienza degli iter approvativi, che Autostrade per l'Italia ha avuto l'opportunità di seguire (e quasi sempre portare a termine con successo) ci ha portato a verificare che quando si manifesta un'opposizione ad un'opera è spesso per motivi contingenti di impatto su un numero ridotto di stakeholders, verso i quali il livello di informazione sull'opera, sulla sua utilità, su cosa resterà dopo, è ampiamente inferiore a quanto i cittadini avrebbero diritto di sapere. Quasi mai l'opposizione ad un'opera, invece, è basata su una differente visione dello sviluppo del territorio.
Il Dibattito Pubblico, quindi, può aiutare non solo a migliorare il progetto ma anche a prendere la decisione migliore: sollevando gli amministratori dalla responsabilità di dover valutare le modalità di esecuzione dell'opera, di negoziare i singoli aspetti esecutivi e di oggettivizzare l'impatto sui singoli stakeholders. O se vogliamo, lasciandoli liberi di pensare al futuro della loro comunità. In fondo a questo è servito il Dibattito Pubblico di Genova: a rassicurare la collettività e i loro rappresentanti sul fatto che la migliore soluzione possibile di esecuzione della Gronda sia stata trovata e verificata.
Ora resta solo da decidere se costruire la Gronda di Ponente, così come è uscita dal Dibattito Pubblico, è la migliore scelta possibile per Genova e per la Liguria Sembra poco, ma è un passo epocale!