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Briciole di pane

Crescono le liti sugli appalti: ricorsi sul 50% dei grandi cantieri

Ma i ritardi non dipendono solo dalle vertenze

Roma, 7 febbraio 2011 - Altro che cronoprogramma. In tanti appalti sarebbe meglio parlare di calendario delle buone intenzioni. Portare a termine i lavori pubblici in Italia è sempre stata una corsa ostacoli, ma la situazione si sta aggravando. Secondo l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, dal 2000 al 2009 il 4,3% degli appalti si è chiuso con un contenzioso. E se la percentuale può apparire tutto sommato trascurabile, basta considerare un paio di dati in più. Innanzitutto, nel periodo 2000-2007 il tasso di litigiosità era al 3,8% e in due anni si è aggravato di mezzo punto, che corrisponde a 805 nuove liti. Inoltre, la quota di controversie cresce insieme al valore degli appalti, fino a sfiorare il 5o% nelle grandi opere (si vedano i grafici qui a destra). Detto diversamente, nei bandi oltre un milione di euro, finisce in contestazione un quinto delle somme stanziate dalla pubblica amministrazione: 64 miliardi su 31,7. Il tutto in una spirale di inefficienza, ritardi e ricorsi che penalizza le imprese aggiudicatarie, gli enti pubblici e - soprattutto - i cittadini, costretti ad aspettare anni (e a pagare di più) per vedere completate strade, scuole, case popolari, ospedali.

Una buona notizia è che la Finanziaria 2007, con le nuove regole sugli arbitrati, ha limato i rincari connessi alle liti. Nel 2009 un appalto in contenzioso è costato il 13% in più, mentre nel periodo 2002-2005 l'incremento degli oneri per le casse pubbliche era del 30 per cento. Resta però il problema dei tempi: le rilevazioni dell'Authority mostrano che un cantiere contestato ci mette il 20% in più ad arrivare al termine; ma evidenziano anche un ritardo medio dell'89 per cento. Come dire: pure quando non si litiga, i tempi del crono programma vanno moltiplicati per due. Su questa situazione influisce sicuramente un altro rallentamento, quello dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione. Secondo l'Ance, l'associazione dei costruttori, il 44% delle imprese edili subisce ritardi superiori ai quattro mesi oltre i termini contrattuali, con massimi di due anni. Ultimamente, inoltre, sono andati in difficoltà anche gli enti che fino a un paio d'anni fa saldavano i conti con puntualità teutonica, come quelli del Nordest.

«Nella stragrande maggioranza dei casi i comuni non riescono a pagare entro 6o giorni», ammette Roberto Reggi, sindaco di Piacenza e vicepresidente dell'Anci, l'associazione dei comuni. Sul motivo dei pagamenti fuori tempo massimo, sindaci e costruttori sono d'accordo: il patto di stabilità con i suoi vincoli spesso impedisce di utilizzare la liquidità bloccata nelle casse comunali. Ma questa è una storia nata, e non esaurisce il problema. «A volte si crea un effetto a cascata - spiega Reggi - e il comune non riceve i soldi dalla provincia, che a sua volta deve rispettare i propri vincoli di bilancio. Ci sono enti che a ottobre smettono di pagare. E dovremo abituarci a una diminuzione strutturale delle risorse, già a partire da quest'anno».

La direttiva Ue votata il 24 gennaio punta a invertire la tendenza, introducendo la regola del saldo entro 3o giorni e dettando sanzioni più severe: oggi la Pa paga l'1,5% di interessi nei primi due mesi di ritardo; con le norme europee si sale al 9 per cento. Perché le regole diventino effettive, però, serve il recepimento nazionale; e l'Italia - che sulla direttiva si è astenuta - ha due anni per farlo. Nel frattempo, il rischio è che le imprese continuino a "fare da banca" agli enti pubblici, pagando una sorta di sovrattassa impropria che l'Ance stima tra il 2 e il 2,5% del corrispettivo da incassare. Oltre alla direttiva Ue, un altro rimedio ai ritardati pagamenti è scritto nelle norme nazionali, e in particolare nell'articolo 31 della manovra d'estate (Dl 78/2010). È la norma che permette di usare i crediti verso gli enti locali per compensare i debiti con l'erario, ma che attende ancora il decreto attuativo: per quanto non risolutivo, è uno strumento che l'Ance chiede «con urgenza».

A far inceppare gli appalti, comunque, non sono solo i rapporti con gli uffici pubblici. Osserva Angelo Artale, direttore generale di Finco, sigla che rappresenta l'industria delle costruzioni: «Spesso le piccole imprese e i subappaltatori vengono pagati molto tempo dopo che l'appaltatore ha incassato il dovuto, facendo così credito a quelle più grandi. Su questo punto la direttiva europea si rimette alla libertà negoziale, il che è corretto, ma non si può esagerare». Al di là dei costi definiti senza progettazione esecutiva, spesso dietro il contenzioso, i ritardi e i rincari c'è un male antico degli appalti italiani: l'eccesso di ribasso camuffato da massimo ribasso. Nell'audizione dell’8 gennaio al Senato i funzionari della Finco hanno lanciato l'allarme, in particolare per i subappalti: qui mancano controlli adeguati e i ribassi «arrivano talvolta a prezzi finali assai inferiori al costo del lavoro». Anche da una gara vinta nel modo sbagliato cominciano i problemi: l'Authority rileva che tra i lavori contestati il tasso di rescissioni è quattro volte più alto del normale.

Cristiano dell'Oste (Fonte Il Sole 24 Ore)