Doppio stop ai parametri. Per ingegneri e architetti si allontana il via libera al decreto
Dopo il Consiglio superiore bocciatura anche dall'Authority sui contratti pubblici
Roma, 9 febbraio 2013 – Doppio stop per le nuove tariffe di ingegneri e architetti. Diventa sempre più impervia la strada verso l'approvazione del cosiddetto «Dm parametri-bis», il decreto con l'indicazione dei compensi da porre a base delle gare di progettazione, dopo l'abolizione dei vecchi minimi.
Dopo il no del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, sulla bozza di decreto Giustizia-Infrastrutture, è arrivato anche il parere negativo dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici. Una tegola che, a un passo dalle elezioni, rischia di azzoppare definitivamente un provvedimento molto atteso dai professionisti, che a più riprese hanno denunciato l'arbitrarietà dei comportamenti delle pubbliche amministrazioni, in una fase di mercato connotata da una concorrenza esasperata sul prezzo. Il problema è che i «parametri» finiscono in alcuni casi per comportare un aumento dei compensi rispetto alle tariffe stabilite dal Dm 4 aprile 2001. Ipotesi vietata dal Dl liberalizzazioni (Dl 1/2012) da cui il decreto sui compensi professionali prende le mosse. Un rischio, evidenziato per primo dalle colonne di questo giornale (vedi «Il Sole 24 Ore» del 19 dicembre) sulla base delle simulazioni effettuate per conto del settimanale «Edilizia e Territorio», da Paolo Nardocci, ingegnere in forza alla direzione centrale progettazione dell'Anas, ma contestate dagli ordini di ingegneri e architetti, secondo cui le proiezioni darebbero «sempre valori inferiori in una forbice compresa tra il 7 e il 30% rispetto ai vecchi minimi».
Giustificazioni che non sono bastate a evitare le obiezioni sollevate prima dal Consiglio superiore dai lavori pubblici e ora dall'Autorità di vigilanza.
Nel parere predisposto su richiesta del ministero delle Infrastrutture, l'Authority guidata da Sergio Santoro ha ribadito i dubbi già sollevati dal massimo organo consultivo dello Stato in materia di lavori pubblici. Gli esempi riportati nella relazione illustrativa del decreto, si legge nel documento, «non appaiono sufficienti a escludere il superamento delle tariffe per alcuni dei servizi ricadenti nell'applicazione del Dm». Per l'Autorità in questi casi spetterebbe ai funzionari delle singole amministrazioni verificare il rispetto del tetto imposto dal Dl liberalizzazioni, riducendo di conseguenza gli importi. Un'ipotesi caldeggiata anche dal Consiglio superiore, ma che sembra difficilmente praticabile in concreto, soprattutto dalle amministrazioni più piccole.
L'Autorità rileva anche che «non sono stati resi noti i criteri e le modalità con cui sono stati determinati i parametri per il calcolo del corrispettivo da porre a base di gara». Di certo, obiettano da Via Ripetta «non sembrerebbero riconducibili a un'analisi di mercato, ma piuttosto a un approccio pragmatico che ha assunto quali riferimenti le precedenti tariffe e quelle del recente Dl 140/2012», sui compensi da liquidare in sede giudiziale.
Conseguenza? L'Autorità ricorda che in base al Codice appalti «le stazioni appaltanti hanno la possibilità e non l'obbligo di rifarsi alle tariffe». E chiede di correggere lo schema di Dm, consentendo alle Pa di determinare l'importo delle prestazioni «tenendo conto delle precedenti esperienze di affidamento e dell'andamento del mercato», soprattutto «quando il confronto concorrenziale può essere ridotto», come accade negli affidamenti sotto i 100mila euro o nel caso di incarico diretto sotto i 40mila.