Flash news Infrastrutture:
 
 

Briciole di pane

Cultura: "Racconti on the road", on line " Moulsecoomb" di Laura Galbiati

Ogni settimana un racconto del primo certame letterario dell'Anas

 

MOULSECOOMB

 

È tutto vero. C’è una linea ferroviaria che collega Brighton a Falmer, dove si trova la “University of Sussex”. La voce sul treno, quella voce femminile ma impersonale, sempre uguale su tutti i treni Southern, ad ogni fermata ricorda puntualmente e con una cadenza ritmica inimitabile, le fermate successive. Brighton, London Road (Brighton), Moulsecoomb, Falmer. Sono solo quattro fermate, sono solo dieci chilometri per un totale di cinque minuti di viaggio e quella voce ti perseguita quasi ossessiva, con una frequenza decisamente eccessiva, a volte snervante, fino a che non ne fai un’abitudine, e riesci a non farci più caso e a tollerarla di conseguenza.
Moulsecoomb, anzi Mouuuuuulsecoomb - come ricorda la vocina - che nome strano, che posto curioso. Visto dal treno mi pare un territorio un po’ fuori dal mondo, la stazione stessa appare abbandonata, non c’è nemmeno la barriera per uscire, se non hai pagato il biglietto, qui puoi scendere senza il rischio di rimanere intrappolato nella stazione o di imbatterti in qualche controllore… ma a volte qui il treno nemmeno si ferma e personalmente non mi è mai capitato di scenderci; penso che comunque non può essere tanto fuori dal mondo, dopotutto c’è Brighton da un lato e Falmer con il campus universitario dall’altro e le distanze sono davvero ridotte, ma continuo a esserne incuriosita, ha un che di misterioso… così come strana e misteriosa mi appare la gente che sale e scende dal treno in corrispondenza di quella fermata.

 


Così come quella voce, mi appare eccessivo e snervante il prezzo del biglietto. Non fai in tempo a salire sul treno, non fai in tempo ad aprire un libro o una pagina del giornale che sei già arrivato a destinazione, alleggerito soltanto di alcune sterline, pur sempre sproporzionate alla durata del servizio offerto. Bloody hell.
Per mia fortuna ho a disposizione una valida alternativa, decido quindi di usare la macchina per andare ogni giorno al lavoro: la mitica, semper fidelis Micra-nera-targata-Milano, che ha fatto tanti chilometri per seguirmi fino a qui con un carico di materiale, più o meno edibile, tutto rigorosamente Made in Italy. Facile: vado e vengo quando voglio e paradossalmente viaggiare in macchina mi costa meno di qualsiasi mezzo pubblico, nonostante la prestigiosa “University of Sussex” non guardi in faccia ai suoi dipendenti e imponga anche a loro un pagamento giornaliero per parcheggiare l’automobile nel campus. Bloody hell. Ma non mi arrendo di fronte a tale ingiustizia e con un collega italiano troviamo uno stratagemma a soluzione di questo fastidioso problema… Il punto è che gli inglesi non hanno alcuna malizia, si fidano e basta, e a volte questo fatto risulta molto conveniente a chi aguzza ingegno e furbizia come si conviene a noi, popolo italiano all’estero.

 


Ma qualcosa mi sfugge, nel viaggio in macchina mi sento estraniata dal resto del mondo, chiusa lì dentro ascolto la mia musica e ordino diligentemente i miei pensieri, se piove – e posso assicurare che succede abbastanza frequentemente - mi basta inserire quella cassetta di Bob Marley per far tornare a far splendere il sole… almeno all’interno del mio abitacolo. Da lì dentro scruto e osservo visi, immagini, situazioni, con lo stesso interesse e curiosità di sempre, ma vedo scorrere troppo velocemente tutto quanto là fuori, senza entrare in diretto contatto con ciò che mi circonda, senza che mi rimangano impresse sensazioni nitide. Oltretutto vedo scorrere tutto in un senso opposto a quello a cui sono da sempre abituata, e la cosa inizialmente mi fa un certo effetto. Appare tutto un po’ ovattato, ecco: mi sento piuttosto un pesciolino che osserva quello che c’è al di fuori dell’acquario, per lui è sempre lo stesso ambiente, così come per me sempre identico è il percorso quotidiano. Un pesciolino diverso e buffo che però a sua volta, dall’esterno dell’acquario, si sente osservato. Mi accorgo di suscitare sguardi di sorpresa, ma forse questo smarrimento è solo dovuto al fatto che mi vedono guidare dal lato opposto, da quello sbagliato; mai come ora ho una percezione definita e concreta del concetto di relatività... I bambini mi guardano con espressioni di stupore e allungano le dita indicandomi, la gente mi guarda stranita e sorride, a volte con un sorriso vero, di quelli che si fanno con le labbra all’insù, più spesso annuisce con un cenno timido d’assenso con gli occhi, dopo aver appurato che gli sguardi si siano incrociati almeno una volta; di fatto sorride, si limita a questo, è un sorriso che faccio fatica a capire e a condividere, ma se non altro nella maggior parte dei casi, quando non ti ignora, qui la gente ti sorride. Ultimamente è anche stranita dal rumore della mia vettura e forse sorride anche per quello. È il rumore tipico del perfetto tamarro, è il rumore scoppiettante di marmitta bucata, è la Micra che mi perde i colpi… maledizione, è sempre la stessa storia: le macchine che mi vengono tramandate hanno sempre una certa età quando passano nelle mie mani ed è allora che i problemi saltano fuori e mi tocca risolverli. Bloody hell.

 


Ma dalla macchina è ancora una volta tutto troppo veloce e la realtà impalpabile, anche il buio delle giornate invernali contribuisce a rendere ancora più sfuggente e indefinita la percezione di questo posto vagamente misterioso che sono curiosa di scoprire, in cui sono pronta a immergermi.
Eppure ogni volta che passo per Moulsecoomb, se pur di volata, ho la netta sensazione di trovarmi in un film di Ken Loach.
Mi pare che si materializzino nella versione inglese i personaggi e i luoghi disgraziati della Dublino dei libri di Roddy Doyle. Percepisco lontanamente, ma con lucida consapevolezza, un certo genuino degrado, ma ho il timore che la sensazione che provo sia il risultato della composizione ed elaborazione di immagini troppo veloci… così veloci da far “flashare” l’autovelox. Bloody hell… Ma tanto non riusciranno mai a darmi una multa, non riusciranno mai a risalire a me, non hanno i mezzi per stanare una targa europea. Ho capito che almeno questa è una cosa di cui non mi devo più di tanto preoccupare. Vado avanti ma cerco di limitare i danni, per quanto mi è possibile.

 


Ho anche comprato una bicicletta, anzi due… entrambe al car-boot-sales che si tiene ogni domenica mattina nel piazzale del parcheggio della stazione di Brighton. Si vendono cose di ogni genere di seconda mano e si fanno ottimi affari, soprattutto se ci vai la mattina presto in cui trovi maggior scelta, o verso mezzogiorno, quando stanno per sbaraccare e ti offrono prezzi migliori pur di sbarazzarsi di tutta la mercanzia. È l’unico posto questo, l’unica occasione in cui forse si ha modo di negoziare o giocare sui prezzi con gli inglesi, in qualsiasi altra circostanza è tutto così rigoroso e programmato fino a essere insostenibile e incredibilmente condizionante.
Le bici le ho comprate in serie, ho acquistato la seconda dopo che la prima mi era stata rubata proprio sotto casa. Per una curiosa coincidenza le ho comprate entrambe allo stesso Sunday market, alla stessa bancarella, dallo stesso venditore, non mi avrebbe sorpresa il fatto di poter ritrovare in quello stesso luogo la mia bicicletta rubata. Non mi sento di poter escludere la possibilità che anche il mio attuale veicolo sia a sua volta stato rubato al malcapitato di turno. Questa volta mi sono preoccupata più che altro di procurarmi un lucchetto un po’ più serio e affidabile a costo di pagarlo quasi quanto la bicicletta stessa.

 


Con l’affacciarsi della bella stagione mi decido dunque ad affrontare il mio percorso, quella strada che congiunge Brighton a Falmer, in maniera diversa, dimezzando il numero delle ruote sulle quali viaggiare da quattro a due, contestualmente riduco anche la velocità del mio viaggio ma moltiplico magicamente le potenzialità esplorative. In bicicletta il tutto risulta decisamente più lento e sicuramente più faticoso, ma così facendo riesco a sperimentare in maniera più diretta, ad assaporare delle atmosfere e delle sensazioni mai provate prima e a trovare quel giusto ritmo che mi consente di entrare meglio in sintonia con quello che mi circonda. È un tempo che dedico all’osservazione ma anche un momento che sento di voler dedicare a me stessa e che voglio gustare in ogni suo minuto, con tutti e cinque i sensi, giorno dopo giorno. Lo trasformo nel mio momento di vacanza quotidiano.
Non voglio perdere nemmeno un raggio di sole. Se l’inverno ha sottratto preziose ore di luce alla giornata ancora in corso, a queste latitudini la primavera e l’estate regalano chiarore in abbondanza. Ho sempre sostenuto la teoria del metabolismo fotosintetico per la sottoscritta: non mi sono mai sentita così viva e piena d’energia come in questa stagione, per via della quantità e intensità di luce alla quale ero esposta. Dovrei solo dimostrare di avere i cloroplasti e potrei pubblicare facilmente su «Nature».

 


La mia diventa una rincorsa della luce. Anzi, a dire la verità è proprio lei che mi viene a cercare: mi sveglio autonomamente, mi faccio trovare ogni giorno in anticipo, anche a orari improbabili del mattino, non appena intravedo il primo bagliore fare capolino alla finestra che ho mantenuto, di proposito, priva di tende. Non c’è da perdere nemmeno un raggio di luce, e come primo pensiero della giornata, mi precipito fuori ad appurare che la mia bici sia ancora lì fuori, abbracciata al palo ad attendermi per il prossimo tragitto casa-Moulsecoomb-lavoro.
La strada comincia subito in salita: c’è da fare uno sforzo fisico e mentale iniziale per salire la collina di Hollingdean, poi raggiunta la cima in pochi ma sofferti minuti, giù in picchiata verso Lewes Road, a manetta, senza toccare i pedali, lasciandomi guidare dal senso di leggerezza indescrivibile che mi pervade in quei frangenti, e avendo come unica preoccupazione quella di rendermi visibile agli automobilisti, di non andare a sbattere contro macchine che spuntano all’improvviso da sinistra, di evitare di affiancare gli autobus e di ricordarmi di frenare quando si passa sotto il ponte dove transita il treno, perché lì la strada è parecchio stretta e si rischia il frontalone. Da quel punto in poi è tutto di nuovo in lenta, costante, ma sensibile salita.

 


Mi adeguo in maniera moderata al trend del ciclista inglese; mi rendo visibile dotandomi di ridicola, quanto mai utile, giacchetta arancio fosforescente e di torcia frontale. Il mio rimane comunque un assetto da dilettante, perché se ne vedono di tutti i colori e dimensioni di materiali catarifrangenti o luminosi che la gente sfoggia su di sé o sulla propria bici o mezzo a due ruote alternativo, qualunque esso sia. «Stay bright, day and night», suggerisce la pubblicità progresso. Direi che mi trovo nel giusto mezzo tra le due tipologie estreme di ciclisti: il “preciso” con tutte le fosforescenze e protezioni del caso, che sfreccia sulla sua bici ultraleggera e che immancabilmente ti supera pur pedalando alla metà del tuo ritmo, e lo “scassone”, perlopiù studente con la sua bici che sta insieme per miracolo e la sua borsa a tracolla penzolante, iPod nelle orecchie e lo sguardo perso nel vuoto, col fiatone e le guance rosse per lo sforzo, facilmente superabile.
A dire la verità sembra di stare in un circo perché, on the road, si vedono passare i mezzi più strani ed impensati: pattini, skateboard, monopattini, bici pieghevoli e persino monocicli!

 


Trovo che ci sia un atteggiamento insolitamente corretto tra gli automobilisti. Sono polite anche in questo gli inglesi, per niente aggressivi al volante, ti lasciano passare senza problemi, sei fai qualche torto si lamentano in maniera del tutto composta e per niente chiassosa. Bisogna imparare che quando “fai-i-fari” non vuol dire: “Che cacchio stai combinando?”, ma “Passa pure tu prima di me”, devi impararlo subito altrimenti può diventare pericoloso…
Noto anche un rispetto quasi sacro - come per le vacche in India - per i pedoni; mi stupisco ogni volta che le macchine si fermano mentre sto attraversando sulle strisce pedonali, mi stupisco di tutti questi inutili semafori a uso esclusivo dei pedoni.
Per le biciclette al contrario, non c’è nessuna pietà: vengono aggredite, sfiorate dai veicoli che non si fermano mai, pare che sulla strada non abbiano nessun diritto. Ho rischiato più volte la vita per via degli autobus che ti passano di fianco, noncuranti della loro imponenza e della tua precarietà su due ruote. I più pericolosi sono i double decker dai quali ho visto cadere più o meno accidentalmente, e ho saputo schivare con gran destrezza, oggetti d’ogni genere…
Dal canto mio, sulle due ruote sono una vera teppista. Ora la gente non mi sorride più tanto divertita, ma piuttosto mi guarda e scuote il capo… non condivide la mia idea di andare in un tratto, se pur limitato, contromano sul marciapiede (nonostante sia evidente che andare dal lato giusto equivalga al suicidio). Non condivide nemmeno la mia iniziativa di attraversare la strada a semaforo rosso, per quanto inutile esso sia.
In particolare la polizia sembra non condividere questa mia ultima brillante idea…. Infatti, mi ferma e mi chiede spiegazioni, nonostante io – in qualità di immigrata - finga di non capire…. bloody hell ci mancava anche questa!

 

 

Pedalo e osservo.
C’è una stratigrafia di tipologie di persone e di situazioni che si susseguono con il variare delle ore lungo il mio percorso quotidiano: vedo un panorama piuttosto variegato di personaggi diversi in orari diversi.
C’è in giro ancora qualche ubriaco barcollante e sfatto dalla sera prima, all’alba.
Di buon ora la città è invasa da furgoncini rossi e della Royal Mail, ora mi spiego come mai la posta in Inghilterra viaggia a tempo di record. Esiste davvero il “milkman”… l’ho visto la mattina molto presto distribuire porta a porta il latte nelle bottiglie di vetro, non se ne vedono tanti ma esistono davvero, anche a Moulsecoomb, e i ragazzetti sbrindellati con la borsa a tracolla fosforescente che consegnano il giornale fresco di giornata di casa in casa. C’è una popolazione di mamme con bambini al seguito, per mano o nei loro passeggini, che si accumula in certi punti del percorso in orari ben precisi, quando ormai la città ha ripreso a pieno il suo ritmo.
Pedalo, osservo e respiro.
Anche gli odori lungo il mio percorso cambiano col variare

 

delle stagioni e nel corso della giornata. Non c’è niente di più bello che iniziare la mattina con un profumo di fiori, e più in là nel percorso sentire l’essenza del bosco. Preferisco viaggiare molto presto anche per evitare lo smog e il traffico cittadino. C’è un forte odore di bakery la mattina, non ho mai capito se proviene dal Sainsbury’s o da qualche negozio di pane non identificato. Sulla via del ritorno invece i miei sensori olfattivi sono sovra-saturi di indian tandoori e fish and chips. Il fritto-misto-curry impera. Ancora non mi spiego come ad ogni ora del giorno e della notte da kfc e Burger King ci sia sempre coda, non capisco cosa spinga la gente a farsi così del male...
Pedalo, osservo, ascolto, respiro, pedalo e ascolto, senza fermarmi.
Nelle mie cuffie ascolto la radio, pedalando ascolto le notizie, le cazzate radiofoniche del Chris Moyle show, e la musica di bbcradio1. Ascolto perché voglio imparare, voglio sapere, non va sprecato nessun minuto del mio percorso, nessun minuto di vita. Voglio che per un principio come quello dell’osmosi possa assimilare il più possibile i segreti della lingua e della cultura e possa assorbire quell’accento che mi piace tanto, riuscirò mai a parlare come loro? Riuscirò mai a spacciarmi per una di loro?

 


Pedalo, ascolto, pedalo ancora.
La musica fa la differenza, me ne accorgo quando me ne trasmettono nelle orecchie in abbondanza e di buona qualità: mi dà il ritmo, mi dà la carica, ha il potere di distrarmi da tutto e di mettermi di buon umore, pedalo con più grinta e con idee in più per le mie mood swings compilations. Per una strana coincidenza mi capita di ascoltare con una certa insistenza per un’intera stagione una canzone degli Arctic Monkeys (Leave before the lights come on) sempre nello stesso punto, quando sto per entrare o uscire dal campus dell’università, in qualsiasi direzione indipendentemente dall’orario o dalla frequenza radiofonica, mi sorprendo ogni volta che mi ricapita, mi chiedo e mi richiedo se questa coincidenza abbia alcun significato.
Pedalo, osservo, ascolto, respiro, pedalo e osservo ancora.
E il verde domina, sembra di stare in un unico enorme campo da golf e tutto questo verde così nobile e perfetto sembra quasi contrastare con questa povertà evidente e percepibile di Moulsecoomb. Cambiano le stagioni, cambia il colore degli alberi, cambia il colore del cielo dal grigio, all’azzurro passando per tutte le tonalità che virano con il variare della densità delle nuvole, ma il verde rimane intatto, inalterato, brillante, signorile, impeccabile.
Ancora non mi basta, ci sono ancora troppe cose che mi sfuggono.

 


Decido di intraprendere il mio percorso a piedi, a passo di marcia, così posso osservare il tutto ancora più lentamente e da vicino, voglio vedere Moulsecoomb da dentro, voglio passarci attraverso, voglio vedere la gente e guardarla negli occhi, respirare quella strana atmosfera rarefatta e sfuggente. Dicono che non è proprio safe, che ci vuole coraggio, a me basta la curiosità e il desiderio di scoprire e capire, mi servono conferme concrete a quello che è al momento poco più che un’impressione.
Me ne accorgo immediatamente del perché ci vuole coraggio. Capisco perfettamente perché mi pare di stare in un film di Ken Loach: a Moulsecoomb Piovono pietre, ma per davvero. Non è infrequente imbattersi in gruppi di teppistelli che, dai bordi delle strade, lanciano sassi ai passanti malcapitati: macchine, biciclette o pedoni che siano… soprattutto succede la sera con il buio, più spesso il venerdì sera quando si dà inizio alle danze alcoliche. Se sei fortunato, invece dei sassi puoi ricevere gavettoni o bottigliette di Coca Cola… piene. A me è capitato mentre viaggiavo in bici, ma tutto sommato me la sono cavata bene, soprattutto perché ho tirato dritto e non ho pensato nemmeno per un istante di voltarmi a protestare.

 


Gli stessi teppisti disadattati di Moulsecoomb li ho visti più volte attraversare la strada a kamikaze… così, senza guardare. Welcome to the jungle. Anche questo mi è capitato, nel mio caso ero io al volante, era uno scontro tra la mia prontezza di riflessi e la loro incoscienza, e per fortuna ho sempre vinto io. Ma in questo particolare tratto di strada non c’è mai da fidarsi, non ci si può distrarre, non si può abbassare la guardia. Bloody hooligans.
Si respira un’atmosfera strana, attraversando Moulsecoomb. Giorno dopo giorno, indizio dopo indizio, tutto mi torna. Riesco a poco a poco a trovare conferme e a comporre, con il puzzle dei miei sospetti, quell’immagine della realtà che questo posto rappresenta e delle tristi verità che fatica a nascondere.

 


È questo il posto delle case popolari, case squallide di mattoni tutte uguali squadrate e senza identità, alcune hanno sulle finestre delle orrende tendine di finto pizzo, altre non hanno tende e lasciano intravedere un gran disordine nelle case, tipico di questa cultura barbaro-anglosassone. È questo l’unico posto dove, a distanza di mesi, ancora rimangono esposte con grande orgoglio nazional-popolare le bandiere bianche con la croce rossa dell’Inghilterra che hanno invaso la città per tutto il periodo dei mondiali. È questo l’unico posto che ho visto fino ad ora in Inghilterra, dove la biancheria è sempre stesa fuori ad asciugare, anche se piove. È il posto dove vedo parcheggiata quella Ford Ka rosa che ogni tanto mi capita di vedere in giro in città e che non passa proprio inosservata. È il posto dove la mattina trovi un certo numero di chiazze di vomito sul marciapiede, lattine di birra squashed per terra e tracce di vetri di bottiglia che minacciano l’integrità delle suole delle mie preziose scarpe da corsa, mentre la gente di Moulsecoomb cammina scalza per strada. Poi si lamentano che il paese soffre di verruche… Bloody hell! È il posto dove incontro uomini o donne dalle taglie xxxl che la mattina viaggiano con lattine di Coca Cola in mano o con degli improbabili succhi di frutta viola, che spesso si abbinano perfettamente al colore dei loro capelli. Qui incontro anche le mamme-bambine, ce ne sono tante, ragazzine tatuate con i loro piercing e i loro stivaletti di pelo (anche d’estate) che si ritrovano loro malgrado, investite di questa enorme e assurda responsabilità. Ragazzine recidive con più di un pargolo al seguito. C’è una leggerezza per nulla adeguata alla situazione nei loro sguardi, nei loro comportamenti. Le vedo spingere con le mani i loro passeggini ma con la testa altrove. Ci sono cose che mi sembrano totalmente fuori luogo e fuori controllo, c’è qualcosa di veramente profondo e difficilmente risanabile in tutto questo.

 


Moulsecoomb si rivela una riserva di inspiegabile miseria incontaminata. Vedo solo una popolazione di biondi o tutt’al più rossi, in questo posto. Non ci sono i soliti indiani di periferia, non ci sono gli stessi “freakkettoni” trasandati “rasta” di Brighton. È miseria genuina che trasuda da queste persone, da questo posto, che si legge negli occhi della gente. Quegli sguardi comunicano disperazione… ma è una sorta di disperazione rassegnata per niente chiassosa, tanto tutto va avanti, sotto il sole o sotto la pioggia: Hanging on in quiet desperation is the english way …
Gli abitanti di Moulsecoomb sembrano non avere fretta: camminano lenti con il loro sacchetttino pieno di birre e le patatine in mano o li vedo lì: Standing at the bus stops. Alle fermate degli autobus la mattina vedo anche bambini e ragazzi che vanno a scuola con le uniformi e le loro borse a tracolla e le ragazzine con quei loro visi che sembrano di porcellana, i loro make-up così fuori luogo e il loro apparire così kitch & cheap.
Pare che nessuno abbia mai freddo a Moulsecoomb. L’alternarsi delle stagioni sembra non condizionare in nessun modo l’abbigliamento degli anglosassoni. Sono veramente essenziali, nemmeno la pioggia sembra condizionare alcun atteggiamento o umore. Le ragazze si esibiscono come merce: girano spavalde in bilico sui loro tacchi a spillo con le loro minigonne cortissime, i leggings e le pancette tonde di fuori dalle loro magliette vistose, spesso dorate, senza maniche, anche se fa un freddo assurdo. Gli uomini sono semplicemente scummy, non hanno nessun gusto, nessuna classe, in ogni stagione li accomunano: cavallo dei pantaloni basso e le mutande rigorosamente a vista.

 

 

Percorrendo la stessa strada ogni giorno negli stessi orari finisco per incontrare più o meno le stesse persone e di riconoscerne le mosse e gli spostamenti. In particolare, catalizza la mia attenzione un tipo piuttosto anomino, alto, grande e grosso. Non riesco a definire precisamente un’età. Immagino che possa avere a malapena una quarantina d’anni, portati malissimo. Il suo corpo è massiccio con una pancia tonda e prominente, al confronto la sua testa appare minuscola, ha una pettinatura improbabile e completamente fuori dal tempo, ma è un caschetto che me lo rende simpatico; il suo abbigliamento è invece perfettamente conforme alla moda di Moulsecoomb. Cammina baldanzoso, con un andamento leggermente scoordinato e con le braccia penzolanti, cammina in direzione opposta alla mia, sullo stesso marciapiede. Riesco a riconoscere la sua sagoma anche da lontano, la sua andatura e il suo profilo sono davvero inconfondibili e curiosamente ci incrociamo sempre nello stesso punto del percorso. Lo incontro sempre la mattina presto mentre attraverso Mousecoomb, magari abita proprio lì. Quando ci incontriamo, come nelle migliori tradizioni, il tipo guarda e sorride, sorride con gli occhi, con lo stesso sorriso che ancora faccio fatica a capire e a condividere, ma almeno per questa persona non sono trasparente, e non mi ignora come la maggior parte dei passanti.

 


Col cambiare nuovamente della stagione c’è da fare un altro tipo di sforzo per uscire la mattina, quando si è fatto ancora buio e freddo, quando si è esaurito l’effetto della fotosintesi… il tutto sembra avere un ritmo diverso, ha un colore e un odore diverso, l’umidità circostante rende il risveglio e tutto il resto meno piacevole e appiccicaticcio, a cominciare dal sellino della bicicletta, ma non mi arrendo. L’importante è non farsi vincere dalla pigrizia e non fermarsi mai, l’importante è non perdere il ritmo e non lasciarsi condizionare dal tempo meteorologico e alla fine nemmeno la pioggia ti ferma.
Finché un giorno, appena uscita di casa, scopro con rammarico che la mia bici non è più abbracciata al palo dove l’avevo lasciata ad aspettarmi. Trovo solo il mio prezioso lucchetto tranciato selvaggiamente e abbandonato per terra. Nessuna traccia della mia inseparabile compagna di viaggio. Evaporata…. più probabilmente e più semplicemente rubata. Ancora una volta sono io il malcapitato di turno. Maledetti teppisti disadattati di Moulseecomb! Non voglio spendere inutili energie per rimanerci male e non ci penso. Cambio immediatamente la mia rotta e mi dirigo, mio malgrado, verso la macchina che sentendosi trascurata e tradita in tutti questi mesi, quasi per protesta nei miei confronti, manifesta grossi problemi alla batteria.

 


Un po’ per necessità, e un po’ perché mi va, inoltro anche io una protesta personale contro ignoti nel segno della quale riprendo ad andare a piedi al lavoro, dopotutto sono solo cinquanta minuti di passo veloce che ancora una volta investo nell’osservazione e nell’ascolto e nell’ordinare i pensieri sparsi. Continua la mia attività di spettatore di varia umanità, di ascoltatore di cazzate radiofoniche mattutine, di assimilatore osmotico di cockney, a volte riesco a fare tutte queste cose contemporaneamente e in più riesco persino a leggere mentre cammino. Si espandono esponenzialmente le potenzialità di questo percorso. Nessun minuto deve andare sprecato.
Ancora una volta mi capita di incontrare persone, incrociare sguardi, di vedere Moulsecoomb da vicino, da dentro... ogni volta è una conferma, ora mi è tutto più chiaro.

 


Mi capita un giorno, mentre attraverso Moulsecoomb, di rincontrare quel tipo che vedevo la mattina presto, quell’omone massiccio con la testa piccola e l’andatura scoordinata. Questa volta ci incrociamo fuori dal solito contesto. Lo trovo sulla via del ritorno, dall’altro lato della strada, in un orario insolito, un’ora del tardo pomeriggio in cui normalmente sto ancora lavorando, orario in cui invece la gente normale torna dal proprio lavoro normale. Sicuramente mi riconosce, sembra sorpreso di vedermi, probabilmente per il contesto insolito in cui ci incrociamo questa volta, e lo sguardo si illumina più del solito, addirittura accenna a un gesto di saluto con la mano e poi quando ci incrociamo più da vicino il volto cambia piano piano espressione aprendosi in un sorriso, uno di quelli che si fanno con le labbra all’insù ma che si spinge anche oltre. Mi colpisce questo gesto, ma soprattutto mi colpisce il sorriso: paradigma di tutto degrado di Moulsecoomb.
Mi accorgo di reagire in modo strano a questo suo gesto: la mia sensazione di piacere spensierato per l’incontro accidentale e di sorpresa per un tale slancio affettivo si converte con imprevedibile rapidità in disgusto-misto-tristezza, quel sorriso svela a poco a poco, senza nessun tipo di pudore, una bocca vuota, senza denti per metà. Ed è un vuoto irrecuperabile, senza speranze.

 

On the road tra Brighton e Falmer (UK) 2005 – 2007.

 

Laura Galbiati

  Cultura: "Racconti on the road", premiati i vincitori del primo certame letterario dell'Anas