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Briciole di pane

"La mobilità in bicicletta da desiderio in abitudine "

Intervista ad Alessandro Tursi, presidente FIAB Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta.

Il Mims sta puntando in maniera decisa sulla mobilità dolce. Il Ministro Giovannini ha dichiarato, in occasione dell’inaugurazione della Ciclovia del Sole, che nel Pnrr vi è compreso un investimento di 400 milioni di euro per la realizzazione di ciclovie turistiche e ciclovie nel quadro anche europeo di sviluppo della mobilità. Siete soddisfatti di questo scenario? 

Più che mobilità dolce dobbiamo parlate di mobilità attiva. In considerazione dell’entità del PNRR avremmo voluto di più, ma è sicuramente un passo avanti. I finanziamenti per la ciclabilità nel PNRR ammontano oggi a 600 milioni di euro, di cui 400 destinati alle ciclovie turistiche e 200 alle ciclabili urbane. È di fondamentale importanza che d’ora in poi vi sia una continuità nel finanziare la mobilità in bicicletta all’interno del Bilancio dello Stato, al pari di come è sempre stato fatto per le infrastrutture delle altre forme di mobilità. In questo ci conforta il recente annuncio del ministro Giovannini di altri 400 milioni nella prossima finanziaria. 

 

Le infrastrutture secondo Lei possono accelerare il raggiungimento dei traguardi di sostenibilità posti dalle istituzioni europee? 

Assolutamente sì purché si realizzino le infrastrutture giuste: occorre puntare sul treno per le medie e lunghe distanze; sulla bicicletta per le brevi distanze; sulla intermodalità fra bici e treno o altri mezzi di trasporto pubblico locale per le esigenze dei pendolari. Riteniamo inoltre indispensabile, anzi necessario, che all’interno dell’imponente opera di messa in sicurezza delle strade esistenti da parte di ANAS venga considerata anche la mobilità ciclistica che per le strade extraurbane è, ad oggi, sostanzialmente ignorata. 

 

Come valuta la rete italiana di piste ciclabili rispetto agli altri Paesi europei? 

Ovviamente siamo molto indietro rispetto al Nord Europa, ma esistono comunque enormi differenze all’interno del nostro Paese.  Ci sono singole città e interi territori che hanno già raggiunto un livello europeo, soprattutto nel Nord Italia e più raramente al Centro, mentre il Sud si trova ancora in una fase iniziale e soffre di un gravissimo ritardo in questo settore ancor più che in altri.

 

L’uso di mezzi di mobilità sostenibile sta diventando un must specie fra i più giovani. Secondo Lei in Italia chi non li sceglie lo fa per un pregiudizio culturale o per altro? 

Rispondo citando testualmente Margot Wallström (ex commissario europeo all’ambiente): “il più grande nemico della bicicletta è il pregiudizio”. Quando si supera il pregiudizio e si prova in prima persona una nuova forma di mobilità, poi non si torna più indietro. A questo servono gli incentivi chilometrici, a far provare  e scoprire un diverso modo di muoversi, che poi diventa abitudine una volta terminati gli incentivi.

 

La pandemia ha disincentivato l’uso dei mezzi pubblici, favorendo l’ascesa di biciclette e monopattini. Secondo Lei questo processo è irreversibile, o torneremo agli standard pre-covid? 

Sono certo che non torneremo agli standard pre-Covid proprio in virtù del fatto che difficilmente si torna indietro dopo aver provato i vantaggi di una forma di mobilità attiva, pratica, piacevole e  economica. Esiste inoltre una grande domanda di mobilità in bicicletta (muscolare e a pedalata assistita) che aspetta solo nuove infrastrutture e opportunità per trasformarsi da desiderio in abitudine.  In questo percorso un ruolo importante lo possono e lo devono giocare anche le aziende: oltre alla ciclabile per recarsi al lavoro è necessario, infatti, che il ciclista abbia a disposizione servizi e attrezzature aziendali, dal parcheggio sicuro per la bici agli spogliatoi con armadietti fino alle docce, come è ormai normale in tutte le fabbriche e gli uffici dei paesi più evoluti.

 

La mobilità in bici talvolta viene vista come parte integrante del problema della sicurezza stradale, invece potrebbe contribuire a risolverla? Perché secondo Lei i ciclisti pagano un alto tributo in qualità di vittime della strada?

Quella di abbinare la mobilità in bici al problema della sicurezza stradale è una percezione fallata. L’intervento chiave è noto con il nome “Safety in numbers”, ovvero più ciclisti, più sicurezza.  Come dimostrano inequivocabilmente diversi studi europei c’è una correlazione diretta tra sviluppo della ciclabilità e riduzione dell’incidentalità (che a sua volta porta un ulteriore aumento dei ciclisti). Meno incidentalità vuol dire anche meno vittime sulla strada. Non a caso, infatti, in Europa le strade più sicure sono ritenute quelle di Olanda e Danimarca, paesi dove circolano più bici. La bicicletta, dunque, può essere considerata, semmai, una delle soluzioni che contribuisce a ridurre gli incidenti e far crescere la sicurezza per tutti gli utenti della strada, automobilisti compresi.