Italia senza certezze, in Francia vince il débat public
Modelli a confronto. Più democrazia e più decisionismo nel confronto transalpino, istituzionalizzato dal 1992
Roma, 4 marzo 2012 – Al netto della fase di programmazione, in Italia sono necessari mediamente 4.273 giorni, più di undici anni e mezzo, per realizzare un'opera. La progettazione prende nelle sue tre fasi (preliminare, definitivo, esecutivo) 2.137 giorni, quasi sei anni. Se non si dovessero sommare anche i tempi di programmazione, cioè della decisione politica di avviare l'opera, saremmo quasi a standard europei, solo un po' più lunghi dei 10-11 anni che mediamente sono necessari in Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna per progettare e realizzare una grande opera.
Il punto è che la patologia italiana comincia proprio dal primo istante, quello dell'inserimento dell'opera in un piano. La variante di valico autostradale fra Bologna e Firenze - opera simbolo per decenni dei ritardi infrastrutturali italiani - è stata inserita nel piano decennale della viabilità nel 1982, ma è stata recepita dalla convenzione della società Autostrade solo nel 1997. L'opera ancora oggi fronteggia in cantiere difficoltà non di poco conto sull'uso dei materiali da scavo, che rendono tutt'altro che certo il traguardo finale del 2013. Sono 15 anni, se partiamo dal momento in cui Autostrade ha assunto in carico l'opera, ma sono 30 dal momento in cui il ministero dei Trasporti ha deciso di realizzare l'opera. In mezzo, fra i due termini, lentezze burocratiche, incertezza politica, conflitti con il territorio, rivendicazioni campanilistiche, opposizione ambientalista, totale assenza di raccordo fra la pianificazione e la realtà. Anche la legge obiettivo del Governo Berlusconi, il più importante tentativo di creare un'azione politica costante sulle infrastrutture, è fallita su una pianificazione faraonica che non ha retto alla prova né della debole macchina progettuale italiana né di una programmazione finanziaria incostante.
Con l'Alta velocità Torino-Lione - di cui si parla da 22 anni ma che è diventata "operativa" solo nel 2002 - si conferma l'altra grande fragilità italiana dopo la programmazione debole, la progettazione carente e i finanziamenti incostanti: un dialogo con il territorio scomposto e malsano in cui si rappresenta la contrapposizione ideologica e trionfa l'atteggiamento Nimby del veto a ogni costo.
Negli altri Paesi europei il confronto con il territorio è formalizzato in un procedimento garantista e certo, molto diverso dalla nostra conferenza di servizi. Il «dèbat public» francese e il «public engagement» anglosassone istituzionalizzano la partecipazione degli interessi del territorio alla discussione del progetto entro procedure e tempi definiti. La garanzia di democrazia è anche garanzia che la decisione sarà attuata.
Nel modello francese - introdotto dalla circolare Bianco il 15 dicembre 1992 - il dibattito è gestito da un'autorità terza e indipendente e dura 4 mesi: si discutono le caratteristiche del progetto, ma anche l'opportunità di realizzare l'opera. Al dibattito partecipano tutte le associazioni e i cittadini che lo desiderano e si fissa un calendario di incontri pubblici. Al termine il presidente stila un rapporto con gli argomenti a favore e contro. Entro tre mesi dalla pubblicazione del rapporto, l'ente proponente dell'opera deve comunicare se intende mandare avanti il progetto, modificarlo o ritirarlo.