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Organi e compiti di polizia stradale: un quadro da ripensare

Roma, 8 ottobre 2015 – Qualcuno riesce a immaginare Giuliano Pisapia intento a misurare, sull’asfalto, tracce di frenata per poi calcolare la velocità tenuta dal veicolo incidentato? O Piero Fassino che, con tanto di segnale distintivo, ferma e sanziona un camionista dal carico pericolosamente sporgente?
Naturalmente, stiamo esagerando e i sindaci di Milano e Torino non c’entrano nulla. Ma non siamo affatto nel campo dell’assurdo. In realtà, nei piccolissimi Comuni, un problema potrebbe davvero porsi.

 


Secondo l’articolo 57 del Codice di procedura penale, è ufficiale di polizia giudiziaria “il sindaco dei comuni ove non abbia sede un ufficio della Polizia di Stato ovvero un comando dell’Arma dei Carabinieri o della Guardia di Finanza”.
E il Codice della strada, all’articolo 12, è inequivocabile: ci sono due attività di polizia stradale (la rilevazione degli incidenti stradali e la prevenzione/accertamento delle infrazioni in materia di circolazione stradale) che spettano, oltre agli altri organismi a ciò deputati, a tutti gli ufficiali (e agenti) di polizia giudiziaria.
Dunque, in Comuni molto piccoli, nei quali magari l’unico “vigile urbano” in organico sia momentaneamente indisponibile, fa capo al Sindaco l’espletamento delle due anzidette, importantissime, funzioni di polizia stradale.


Una nota di quest’anno del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (prot. 1039 del 13/3/2015) non ha potuto fare altro che confermare il sillogismo: posto che il Sindaco è, in certe condizioni, ufficiale di polizia giudiziaria, e che all’ufficiale di polizia giudiziaria spettano determinati compiti di polizia stradale, non si può negare il sorgere di un vero e proprio obbligo, per il Sindaco, di svolgere quei compiti, ancorché estremamente impegnativi sul piano tecnico e amministrativo.
Discorsi astratti? Fantasie giuridiche? Non troppo. Un’incriminazione per omissione d’atti d’ufficio, a carico del malcapitato Primo Cittadino, potrebbe sempre profilarsi: in un Paese come l’Italia la giurisprudenza, lo sappiamo, non sempre percorre i binari della certezza.


Ma non è tanto la curiosità, o la “nota di colore” in sé, che ci interessa; quanto rimarcare la necessità di una radicale, e coraggiosa, riforma della materia. La legge delega per la riforma del Codice della Strada, ammesso che sia finalmente approvata, contiene una direttiva carica di implicazioni che il legislatore delegato, nella stesura del testo del Codice, dovrà saper sfruttare in tutte le sue potenzialità: “specializzazione delle funzioni (di polizia stradale)”.


“Specializzazione” può voler dire molte cose. Anche l’abbandono di vecchi schemi, nei quali ogni ufficiale/agente di polizia giudiziaria svolge “di default” alcuni compiti di polizia stradale, in favore di una linea di politica legislativa completamente nuova, parametrata alla complessità (e alla delicatezza) della mobilità stradale. Prevedendo, in ipotesi, una “polizia dei comportamenti”, ordinariamente preposta a controllare dal vivo conducenti e carico (anziché limitarsi a recepire, da remoto, registrazioni di velocità veicolare fatte da apparecchiature); e una parallela “polizia dell’infrastruttura”, votata a garantire la piena fruibilità/sicurezza dello spazio stradale (avvalendosi, perché no, di tutte le professionalità tecniche già presenti negli organici dei maggiori Enti proprietari di strade). Non servono particolari competenze in sociologia o in psicologia per comprendere che la sola presenza su strada – e la visibilità – di queste “polizie” funzionerebbe comunque, a prescindere dalle specializzazioni, quale deterrente rispetto a comportamenti di guida scorretti.

Carlo Sgandurra