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Briciole di pane

L'Unione non perda tempo, torni a investire sulle infrastrutture

Milano, 16 aprile 2012 – L’Unione economica e monetaria europea (Uem) ha dilapidato il «tempo» per il rilancio della crescita, che le era stato messo a disposizione dalla Bce con due operazioni di rifinanziamento di medio-lungo termine a favore del settore bancario. Questa immissione di liquidità non aveva l'obiettivo di risolvere i problemi di gestione del debito sovrano dei Paesi periferici e di ricollocare l'area euro su un sentiero di competitività e di sviluppo. Si trattava più modestamente di superare la fase acuta, evitando che la crisi di liquidità del settore bancario sfociasse in una crisi di insolvenza degli intermediari finanziari e che il contagio di Paesi «troppo grandi per fallire» minasse le basi della moneta unica. Il raggiungimento degli obiettivi ha offerto una tregua alle istituzioni che avrebbero dovuto approfittarne per sancire la fine dei vecchi equilibri e per tessere una nuova trama. Purtroppo ciò non è avvenuto.
Prima della crisi finanziaria il funzionamento dell'Uem era fragile e distorto, ma portava vantaggi di breve termine a tutti. Gli investitori dei Paesi forti acquistavano titoli di debito dei Paesi periferici e, così facendo, ne compensavano i deficit gemelli (delle partite correnti e dei bilanci pubblici) senza imporre aggiustamenti strutturali; a sua volta, questo meccanismo sosteneva la domanda aggregata nei Paesi più fragili che, in tal modo, aggravavano i loro disavanzi e i loro ritardi, ma fornivano mercati di sbocco per le imprese degli Stati membri più competitivi. Inoltre gli avanzi commerciali della Germania e dei suoi satelliti verso il resto del mondo non rafforzavano troppo l'euro rispetto al dollaro; il che permetteva a un'area stagnante di rimanere agganciata alla crescita internazionale. Le crisi hanno rotto tale equilibrio distorto, in quanto hanno reso evidenti i divari di competitività e di tenuta fiscale fra gli Stati membri.
La tregua, offerta dalla Bce e dall'avvio di processi di aggiustamento in Paesi come l'Italia, ha aperto la strada per un nuovo e più virtuoso equilibrio. I vincoli, posti dal nuovo Trattato fiscale europeo stanno spingendo i Paesi periferici al riequilibrio dei loro conti pubblici e all'introduzione di riforme strutturali. Rassicurati dalla severità dei vincoli, la Germania e gli altri Paesi forti avrebbero dovuto irrobustire i meccanismi europei di gestione dei debiti sovrani e sostenere la domanda aggregata mediante politiche nazionali espansive e — soprattutto — mediante il finanziamento europeo di investimenti infrastrutturali.
Viceversa la liquidità, immessa dalla Bce, è stata utilizzata dalle banche di molti Stati membri per acquistare i titoli pubblici «di casa», ripristinando vecchie segmentazioni nazionali che sono incompatibili con un mercato finanziario europeo; il fallimento disordinato della Grecia e l'inadeguata dotazione dell'Esm hanno riacutizzato la crisi.
Il risultato è una recessione severa, una persistente fragilità del settore bancario europeo, l'aggravarsi della disoccupazione e la caduta del potere di acquisto di molte famiglie. Di fronte a questo nuovo fallimento, bisogna forse abbandonare i grandi disegni e invocare la buona amministrazione. La Commissione europea e le istituzioni intergovernative sono chiamate a proporre un insieme di concreti progetti pubblico-privati di investimento, così da ridurre i tempi della recessione mediante incrementi della domanda e da sostenere i recuperi di competitività nei Paesi periferici.

Fonte: Il Corriere della Sera Economia