Opere compensative, è già finita l'era Tav
Signorini del Cipe: «Il problema è la mancanza di volontà di dire no a richieste di varianti non vincolate»
Milano, 9 maggio 2011 – L’era degli enti locali "prendi-tutto", capaci di strappare opere compensative e modifiche tali da incidere sui costi totali del 20-25% — l'era della Tav Torino-Milano-Napoli e della Variante di valico sulla A1 - sembra sostanzialmente finita.
Sulle opere con iter interamente in legge obiettivo il tetto del 5% sulle opere compensative viene rispettato, anche se resta la difficoltà di "catalogare" richieste che incidono sulle opere connesse o che modificano il tracciato, ma non sono formalmente soggette al limite di legge. E resta poi un altro nodo, quello di iter procedurali che si trascinano per anni, spesso anche a causa del gigantismo programmatorio della legge obiettivo, che non riesce poi a sostenere. finanziariamente tutte le opere approvate, che comporta un onere aggiuntivo per aggiornamento prezzi arrivato in alcuni casi oltre il 15% dei costi totali (perla variante di Formia il 17%, per il Brennero il 25%, per la Brebemi il 20%, per il Terzo Valico il 10%).
Per le grandi opere è stata la legge obiettivo, dal 2002, a rendere non vincolante il parere degli enti locali, fissando inoltre un tetto del 5% per le opere compensative, e questo, per i progetti partili dopo il 2002, sembra aver prodotto risultati evidenti sulla moderazione degli extra-costi.
«Il tetto del 5% viene rigorosamente rispettato — ci spiega il direttore del Cipe, Paolo Signorini, capo del Dipartimento programmazione economica di Palazzo Chigi — ma bisogna capirsi bene sui termini». «Il progetto presentato dai soggetti aggiudicatori — spiega — contiene già un elenco di "opere connesse", funzionali alla con-nessione/inserimento della nuova infrastruttura, così come di opere di mitigazione ambientale, alcune delle quali obbligatorie per legge. Se lei sente Anas, Autostrade e ferrovie, intatti, si lamentano dell'elevato peso sui costi forali di norme tecniche e ambientali obbligatorie».
E infatti è proprio così. L'Anas ci ha mandato uno studio sugli incrementi di costo della Variante di Formia, un' opera in legge obiettivo da loro scelta come "prototipo", caso indicativo ad illustrarne molti altri (si veda la scheda a destra). Ebbene, nel passaggio dal costo originario di 430 milioni a quello attuale (non definitivo, peraltro) di 730, le prescrizioni e le varianti chieste dai vari enti hanno inciso solo per il 4% dell'aumento dei costi, menar- l'aggiornamento prezzi ha inciso per il 40% degli aumenti (17% del costo totale) e le prescrizioni di legge sopravvenute il 31% sugli incrementi (13% su costi totali). Negli ultimi dieci anni — elenca l'Anas — costi aggiuntivi sono arrivati dalle norme in materia di costruzione di strade, barriere di sicurezza, sicurezza in galleria, impatto ambientale e inquinamento acustico, terre e rocce da scavo, indagini geognostiche, antisismica, difesa del solo, espropri.
Conferma Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Autostrade per l'Italia: «Tra progetto preliminare e definitivo — ci spiega — la variabilità di costo più forte, sulla base della nostra esperienza, è determinata dall'evoluzione normativa (vedi il caso delle norme geometriche) e delle prescrizioni delle amministrazioni e autorità locali che a vario titolo devono dare un'autorizzazione successiva di "secondo livello"». «Dieci anni fa — aggiunge — il costo delle opere compensative era dell'ordine del 15% del costo complessivo dell'opera, ma noi da ormai molti anni non accettiamo più di inserire nei progetti le cosiddette opere compensative. Inseriamo solo quelle opere di viabilità esterna funzionali al miglioramento della permeabilità tra rete autostradale e ordinaria. Accordi come quelli fatti da Autostrade quando era pubblica a fine anni '90 con le Regioni Toscana ed Emilia per le autorizzazioni della Variante di Valico oggi non sono più di attualità».
«Da questo punto di vista — aggiunge Castellucci — è stata fondamentale la norma (conferenza di servizi chiudi-bile a parere prevalente anche per le opere statali, legge 28 gennaio 2009, n. 2, ndr) che ha tolto il diritto di veto ovvero di ricatto) e ha reso tutta la dialettica con il territorio (che non può non esserci) molto più sana e costruttiva».
«Le opere compensative — prosegue Signorini, direttore Cipe — a cui si applica il tetto, sono quelle in cui l'infrastruttura porta un danno, dimostrabile, all'economia e al territorio, e si fa un'opera per rimediare. Ad esempio,.mi togli un'area con verde fruibile,. me la rifai laggiù. Mi danneggi il campo che ricorda la battaglia di Sol-ferino (caso reale), mi costruisci un museo. Poi ci sono le osservazioni tecniche (si creano danni a una falda acquifera) o "politiche" (il Prg prevedeva un centro commerciale, sposta il tracciato). La voce che veramente fa aumentare i costi, visto che c'è il tetto, non sono le opere compensative, ma tutte le modifiche chieste dagli enti locali, a cui le Regioni non dicono mai di no, che lo stesso Cipe di solito accoglie. Il nodo è la volontà politica di dire dei no».
«Le prescrizioni ambientali — aggiunge — chieste dalla Via, oltre gli obblighi di legge, sono mediamente del 5-10%. Il rischio di inserirle in un tetto molto basso (il 2% insieme alle opere compensative nel Dl sviluppo, ndr) è che la Commissione Via non potendo "aggiustare" i progetti finisca per dare più pareri negativi». Un altro nodo aperto è quello della classificazione delle prescrizioni. A volte non portano a opere chiaramente compensative, ma a varianti od opere connesse, che però di fatto sono "compensative" per il territorio. E se vengono classificate così queste opere stanno fuori dal tetto di legge.