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Briciole di pane

Rilevare le velocità sulla strada, senza avere l'onere di gestirla

Le distorsioni che si celano nell'attuale sistema

Roma, 22 giugno 2015 – Sentenza recente. Anzi, recentissima. Ci riferiamo a quella della Cassazione civile n. 10684/2015, pubblicata il 22 maggio scorso. In realtà, c’è ben poco da commentare sulla decisione in sé che, da qualsiasi prospettiva la si guardi, non fa una grinza. Ma c’è parecchio da riflettere, purtroppo, sulla situazione retrostante. Anche pensando alle condizioni della viabilità nel Belpaese. Tutto ha inizio sulla S.S. 434 “Transpolesana”, gestita dall’ANAS. Un’arteria a quattro corsie, definita “superstrada” dall’uomo comune e “strada extraurbana principale” dai tecnici. Limite massimo di velocità 110 km/h, come stabilisce l’articolo 142 comma 1 del Codice della Strada e come ogni patentato dovrebbe sapere. Sennonché, per una certa tratta, il limite era stato abbassato a 90 km/h da un apposito provvedimento dell’ANAS, motivato sulla base della presenza di deformazioni del piano viabile suscettibili di creare ristagni d’acqua in caso di pioggia, e revocato a decorrere dal giorno dei lavori di rafforzamento della pavimentazione con eliminazione delle deformazioni stesse; tutto questo, sempre con debito e puntuale adeguamento della segnaletica. Nel periodo di vigenza del limite a 90 km/h, il Comune aveva installato un autovelox e sanzionato una signora “beccata”, con la sua auto, a viaggiare a 100 km/h.


Ricorso della contravvenzionata, secondo cui l’abbassamento del limite di velocità deciso dall’ANAS sarebbe stato illegittimo per una non conformità alle casistiche contenute nelle direttive ministeriali (la norma di riferimento, si rammenta, è l’art. 142 comma 2 C.d.S.: “Entro i limiti massimi suddetti, gli enti proprietari della strada possono fissare, provvedendo anche alla relativa segnalazione, limiti di velocità minimi e limiti di velocità massimi, diversi da quelli fissati al comma 1, in determinate strade e tratti di strada quando l'applicazione al caso concreto dei criteri indicati nel comma 1 renda opportuna la determinazione di limiti diversi, seguendo le direttive che saranno impartite dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti...”). Ricorso respinto in tutti e tre i gradi di giudizio. La Cassazione, in particolare, con la citata pronuncia ha dato atto di un’impeccabile applicazione, da parte di ANAS, delle direttive ministeriali vigenti ratione temporis. Non solo: la Suprema Corte ha sottolineato quale sia la fondamentale responsabilità sottesa a vicende del genere, con una frase che merita di essere riportata alla lettera: “Le deformazioni del piano viabile (se di entità rilevante secondo il giudizio dell’ente proprietario della strada che, nella specie, ha definito il piano viabile un ‘percorso di guerra’: v. pag. 4 della sentenza – del Tribunale di Rovigo – impugnata) possono determinare pericoli per la circolazione a velocità elevate (ossia fino a 110 km/h): in tale situazione l’abbassamento del limite di velocità, funzionale a non consentire velocità incompatibili con le condizioni della strada, lungi dall’essere viziato per violazione di legge o eccesso di potere, diviene addirittura doveroso”.


Terminata la narrazione, svolgiamo qualche riflessione. E’ palese che chi ha preso la decisione di abbassare i limiti di velocità, svolgendo tutto il lavoro di istruttoria tecnica finalizzata a tutelare l’incolumità e, in definitiva, la vita dei cittadini, è l’ente proprietario della strada (ANAS). Ben diverso, quasi un semplice corollario, il lavoro consistente nel controllare, oltretutto mediante strumentazioni automatiche, l’effettivo rispetto dei limiti da parte dei guidatori. Eppure, questo secondo lavoro viene svolto da tutt’altro ente: il Comune, per l’appunto.


Le perplessità poi aumentano, e di molto, se si guarda alla destinazione dei proventi contravvenzionali. Perché, anche in casi del genere, le somme pagate dall’automobilista sanzionato spettano, fino all’ultimo euro, al Comune. Tutto legale, tutto in regola. L’abbiamo spiegato più volte in precedenti articoli: la legge del 2010, che prevedeva l’attribuzione del 50% dei proventi agli enti proprietari della strada per la “realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture”, è inapplicabile all’ANAS a causa di un difetto di formulazione. In pratica: una perdita secca di risorse per chi ha il precipuo compito di far sì che le Strade statali non siano - riutilizziamo l’espressione confluita in queste carte processuali - “percorsi di guerra”.


Si parla diffusamente, com’è giusto, di efficientamento delle reti di trasporto terrestre, qualità della mobilità, apertura all’intermodalità. Sono però argomenti che non possono essere affrontati, né tanto meno risolti, senza una chiara rivalutazione del ruolo e delle funzioni dell’ente proprietario delle strade. Anche a partire da problematiche, solo in apparenza “piccole”. Quali quella appena descritta.

Carlo Sgandurra