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Briciole di pane

Il sacrificio di Giovanni Postal

Grumo, 10 giugno 2011 - Sono passati cinquant'anni da quella tragica notte ricordata dagli storici come «la notte dei fuochi» e che diede inizio ad una sanguinosa stagione di attentati e rivendicazioni indipendentiste da parte di terroristi altoatesini. Saltavano i tralicci dell'alta tensione, saltavano per aria strade e negozi. Sono morte delle persone. Una ventina. Una di queste - il cantoniere dell'Anas Giovanni Postal sarà ricordato domenica a Grumo durante la messa. Un sacrificio premiato con la medaglia d'oro al valore civile, che ancor oggi, a distanza di mezzo secolo, commuove gli abitanti e i parenti di Grumo e San Michele. Un eroe silenzioso, suo malgrado. Nella notte fra I'l l e il 12 giugno 1961, l'Alto Adige è scosso da una quarantina di attentati dinamitardi, l'anticamera di una stagione di odio e di diffidenza tra italiani, sudtirolesi ed austriaci. Dopo il famoso slogan coniato da Magnago nel 1957 a Castel Firmian «Los von Trient», parte degli altoatesini rivendicavano maggior indipendenza dall'Italia e la questione «Alto Adige» approdò anche all'Onu che nel 1960 sentenziò che Italia e Austria dovevano trovare un accordo per la pacifica convivenza. La strada fu comunque lunga e disseminata di tante battute d'arresto e purtroppo anche di tante vittime. Giovanni Postal, nato nel marzo del 1895 a Grumo, era dipendente dell'Anas che aveva una sede a Bolzano. Lavorava come capo cantoniere e cono-sceva bene il territorio del sud Tiro- lo. Era consapevole del clima venutosi a creare e delle difficoltà di convivenza tra gruppi etnici diversi, e soprattutto comprendeva che le aziende italiane non erano ben viste da tutti. Ciò nonostante egli svolgeva il proprio lavoro diligentemente ed era aperto verso tutti, a prescindere dal gruppo di appartenenza. Una mattina di marzo del 1961, giunse alla rimessa degli attrezzi posta al confine tra le province di Trento e Bolzano, e non poté fare a meno di leggere la frase scritta a caratteri cubitali «Hier ein Sudtirol». Comprese immediatamente il senso della frase e non ci volle altro per convincerlo che il clima si era infuocato. Scopri così un ordigno esplosivo posto sul retro, successivamente fatto disinnescare dai carabinieri. «Dopo questa scoperta era seriamente preoccupato - ricorda Francesco, il nipote che vive ancor oggi a Grumo e che rappresenta la memoria storica di quel tempo -e non si dava pace. Avvertiva che qualcosa di grave si stava organizzando in Alto Adige». La storia confermò i suoi sinistri presagi: il 12 giugno 1961, dopo aver inforcato la bicicletta per ispezionare la strada che conduce a Salorno, si accorse di un grosso cinturone nero allacciato al tronco di un pioppo cresciuto sul ciglio della strada, a lato di una piazzola dove abitualmente si fermava una pattuglia di carabinieri. Istintivamente avverti il pericolo che rappresentava e decise di intervenire, immolandosi nell'esplosione. Giovanni lasciava il figlio Egro, la seconda moglie con altri tre figli. Lo Stato italiano aiutò economicamente la vedova e i figli, che non ebbero mai atteggiamenti vendicativi nei confronti dei sudtirolesi, memo- ri che il sacrificio umano di Giovanni costituisce un esempio dell'inutilità della violenza. L'integrazione passa necessariamente attraverso il dialogo, e ciò vale oggi come valeva cinquant'anni or sono.

Lucia Facchinelli - Adige