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Briciole di pane

Indagine sulla barriera: perché non ha retto?

La società Autostrade si difende. L'altro filone riguarda i pullman: era del '95, partito l'impianto di trasmissione

Si muoverà seguendo due filoni paralleli l'indagine che la Procura di Avellino ha avviato dopo la tragedia del bus turistico precipitato domenica sera da un viadotto della A16 all'altezza di Monteforte Irpino. Il capo dell'ufficio Rosario Cantelmo e i suoi sostituti Cecilia Annecchini e Adriano Del Bene intendono stabilire da una parte perché l'automezzo sia finito fuori controllo piombando a velocità elevata sul lento serpentone di auto che lo precedevano, sfondando poi le barriere di calcestruzzo che delimitano il ciglio stradale, e dall'altra capire perché quelle barriere — il cui nome tecnico è New Jersey — non abbiano retto all'impatto venendo quindi meno alla funzione di protezione che dovrebbero avere. È quest'ultimo l'aspetto ora più importante da chiarire. Perché i New Jersey esistono su tutta la rete autostradale italiana e la tragedia di Monteforte, mettendone in discussione la funzionalità, metterebbe in discussione la sicurezza di oltre tremila chilometri di arterie a scorrimento veloce. Dopo un iniziale no comment alle dichiarazioni del procuratore Cantelmo, che lunedì aveva parlato di «attenzione sulla società Autostrade», ieri Autostrade per l'Italia ha diffuso una nota in cui sostiene che le barriere New Jersey «sono state concepite per ammortizzare al meglio gli urti delle autovetture. In caso di urti con mezzi pesanti queste barriere sono pertanto idonee a resistere solo entro certe angolazioni di impatto ed entro certi limiti di velocità». Apparentemente potrebbe sembrare quasi una ammissione di responsabilità, ma a leggere bene si capisce che la nota ha lo scopo di sostenere esattamente l'opposto. La società Autostrade sintetizza la New Jersey «Idonee a resistere solo entro certe angolazioni di impatto ed entro certi limiti di velocità» funzione dei New Jersey soffermandosi su questioni tecniche (in un altro passaggio della nota scrive che «le barriere non sono costruite con muro rigido — che sarebbe l'unico idoneo a resistere a tutti gli urti — ma con elementi collegati tra di loro, appoggiati alla pavimentazione e fissati ad essa con perni che devono permettere lo sganciamento di qualche elemento in caso di urti particolarmente forti») partendo dal presupposto che in Italia quelli prevede la legge, con tutti i loro limiti negli impatti con mezzi pesanti. Presupposto che delinea uno scenario da cui, sul fronte della sicurezza autostradale, sparirebbe qualsiasi forma di reato. E qui si fa complesso e delicatissimo il lavoro della Procura e della Polstrada di Avellino, impegnatissime affinché tutte le responsabilità affiorino. E non solo quelle di chi ha lasciato viaggiare un automezzo risalente al 1995 e revisionato nel marzo scorso che — appare sempre più probabile, sebbene le perizie siano ancora in pieno svolgimento — l'altra sera ha perso per strada importanti pezzi dell'impianto di trasmissione, motivo per cui l'autista non ha potuto più controllarlo né rallentarne la corsa in discesa, visto che nemmeno i freni avrebbero più risposto ai comandi. Nel registro degli indagati ci sono già un paio di nomi, e si tratta di persone responsabili della circolazione e del funzionamento del bus, quindi riconducibili al primo ramo dell'inchiesta. Poi sono indicati dei "profili" da identificare, e qui è evidente che gli investigatori lavorano per individuare ruoli e responsabilità nella gestione e nella manutenzione di quel tratto autostradale. Poi aggiungeranno altri nomi e cognomi.

di Fulvio Bufi - Corriere della Sera