Pietro Ciucci: Anas, strade che portano in Italia il mondo
Intervista al presidente dell'Anas

Roma, 6 giugno 2011 - Creata nel 1928 quando nasceva la struttura statale con gli enti previdenziali e assicurativi, l'Anas, Azienda Nazionale Autonoma Strade, ha avuto una seconda vita nel 1961, nel terzo Governo Fanfani con il democristiano Benigno Zaccagnini ai Lavori Pubblici, come braccio operativo per ampliare e mantenere la rete stradale sopravvissuta alla guerra. «Poche aziende nel nostro settore - dice oggi Pietro Ciucci che ne è presidente - possono vantare una storia di operatività tecnica specializzata di oltre 80 anni e un legame così profondo con l'intero territorio del Paese, per la sua presenza capillare in ogni regione e con tutti gli automobilisti che ne percorrono le strade, frutto della sua operatività». Alla fine del 2002 è cominciata la sua terza vita, con la trasformazione in società per azioni partecipata al cento per cento dal socio unico Ministero dell'Economia e delle Finanze, sotto la vigilanza tecnica e operativa del Ministero delle Infrastrutture. E capogruppo di una holding che comprende 12 società a carattere regionale. Nei fatti è un'impresa operante nei mercati italiano e internazionale. Nel Paese gestisce un reticolo di 30.396 chilometri di strade statali e autostrade che copre la penisola ed è in corso di ampliamento per rispondere adeguatamente alle sempre crescenti esigenze del parco autoveicoli, passato rapidamente da 11 a 39 milioni. 905 sono i chilometri di autostrade con 373 di raccordi; le strade statali sono 19.435 chilometri con 749 strade di servizio o complanari e 3.207 chilometri di rami di svincolo. 24.669 chilometri di strade statali e di autostrade sono in gestione propria dell'Anas, mentre la gestione di 5.727 chilometri è data in concessione a 23 società private, principale delle quali è l'Aspi, Autostrade per l'Italia, con il Gruppo Benetton primo azionista. Il Gruppo ha chiuso il bilancio 2009 con un utile di 16,8 milioni di euro, in aumento di 14,5 milioni rispetto all'anno precedente, e corrispondendo per la prima volta all'azionista unico nel 2010 un dividendo di 5 milioni. Inoltre nell'esercizio 2009 i ricavi propri hanno ricoperto circa i due terzi dei costi complessivi di funzionamento, mentre nel 2005 erano pari solamente al 10 per cento. Nonostante le difficoltà finanziarie, dal 2007 la società è la maggiore stazione appaltante d'Italia, con bandi aumentati in valore da 3,2 a 3,8 miliardi di euro, ponendosi come punto di riferimento per la realizzazione delle opere pubbliche stradali in Italia per la qualità della progettazione e per il livello delle scelte tecniche, unitamente alla difesa dell'ambiente. Dal 2006 ad oggi ha investito oltre 7 miliardi di euro per 227 interventi ultimati nel rispetto dei tempi e dei costi di realizzazione previsti. Negli ultimi 10 anni sono stati realizzati 1.997 chilometri di nuove strade e autostrade, dei quali in particolare 369 di autostrade con relativi raccordi e 1.628 chilometri di strade statali. Più significativi i risultati degli ultimi due anni, con 175 chilometri di nuove autostrade aperti al transito. La nuova autostrada Salerno-Reggio Calabria non è stata soltanto allargata rispetto al progetto di quella costruita 40 anni fa, ma 6 stata realizzata su un tracciato in parte diverso, più moderno e sicuro, attraversando gli Appennini lucani e calabresi per oltre la metà dell'intero percorso, con oltre 200 chilometri su un tracciato di montagna impervio che a Campotenese, in Calabria, raggiunge la quota più alta d'Europa, in molti tratti realizzato in presenza di un traffico intenso nel periodo estivo per non interrompere i collegamenti. I fondi per l'opera, stanziati quasi interamente dall'attuale Governo, ammontano a 7,5 miliardi di euro e coprono i lavori conclusi e quelli in corso. Il progetto complessivo 6 suddiviso in 58 interventi costituiti da 12 macrolotti e da 46 lotti, modificando totalmente il progetto iniziale. Nei cantieri lavorano oltre 700 imprese con 3.500 operai, mentre altri 700 sono mobilitati dall'indotto. Oltre 5.000 sono i mezzi d'opera impiegati. Dei 443 chilometri previsti, 210 sono stati realizzati, i rimanenti 173 in costruzione dovranno essere completati entro il 2013, comprese 48 gallerie naturali, 17 artificiali e 127 viadotti. Un progetto di maggiore importanza tecnica ed economica è la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, che comprende l'opera di attraversamento e oltre 40 chilometri di raccordi stradali e ferroviari in Calabria e in Sicilia. Il progetto definitivo è stato consegnato alla società Stretto di Messina nel dicembre 2010 dalla capogruppo Eurolink confermando le impostazioni di ordine tecnico ed economico, e comprendendo anche opere deliberate dai Comuni interessati dalla costruzione. Pietro Ciucci è stato nominato nel 2002 amministratore delegato della società Stretto di Messina, e dal luglio 2006 è alla guida dell'Anas. È consigliere di amministrazione della Banca Popolare di Roma, presidente del Comitato Nazionale Italiano dell'Aiper, Associazione Mondiale della Strada, e in passato ha gestito e curato la realizzazione del piano di risanamento economico e finanziario dell'Iri.
Domanda. Due numeri rendono bene il problema della nostra circolazione: i veicoli sono cresciuti del 250 per cento rispetto al 67 per cento della rete autostradale. Quale è il problema fondamentale delle autostrade?
Risposta. C'è indubbiamente un gap di cui soffriamo per motivi che risalgono indietro nel tempo, come il blocco delle costruzioni di nuove autostrade introdotto nel 1975 per cui, mentre in Italia negli anni successivi si costruivano mediamente 20 chilometri di autostrade all'anno, negli altri Paesi la rete autostradale si sviluppava molto rapidamente. Con il risultato che oggi la Germania ha 12531 chilometri di autostrade, la Spagna 12.073 mentre l'Italia ne ha la metà, 6554.
D. Cosa si può fare per lenire i problemi italiani?
R. All'inizio del nuovo millennio c'è stato un tentativo di rilancio con una lunga lista di opere fondamentali, strategiche, necessarie, per oltre 100 miliardi di euro di investimenti, un impegno gravoso che si è scontrato con il rallentamento delle procedure e con le varie crisi finanziarie, fino a quella globale, superiore alle previsioni. L'Italia è lunga e stretta e per due terzi montuosa, e questa è un'altra difficoltà rilevante nel nostro lavoro, spesso dimenticata. Da noi, ai problemi finanziari bisogna aggiungere le caratteristiche del territorio: orografia e urbanizzazioni diffuse con zone di valore storico e monumentale, insieme alla necessità di integrazione della rete stradale, creano un mix esplosivo per la progettazione e per i costi. Spesso sulla stampa nascono polemiche sui costi delle nostre opere rispetto a quelli degli altri Paesi, basate però su confronti non omogenei perché non tengono conto di queste caratteristiche del nostro territorio. Uno studio dell'Autorità europea in realtà dimostra come i nostri costi spesso siano inferiori, siamo al terzo o quarto posto. Molto si può fare rispettando le esigenze delle nostre particolari normative, ma non dobbiamo ignorare che tutto comporta un costo. Nelle polemiche questi aspetti non vengono presi in considerazione e si guarda solo la cifra finale di spesa, rapportata ad altri Paesi.
D. Cosa sta facendo l'Anas?
R. Ha il problema delle risorse finanziarie limitate per le attuali difficoltà non solo dell'Italia ma di tutti i Paesi, per noi aggravate dal problema del debito pubblico, una situazione che ci induce a impiegare nel modo migliore le risorse che abbiamo con il massimo dell'efficienza nella gestione dell'Anas, come dimostrano i 120 cantieri attualmente in corso per un valore di circa 10 miliardi di euro di investimenti, tra i quali qualcuno ha spesso sulla stampa l'onore della critica per una retorica distruttiva tipicamente italiana, quale la Salerno-Reggio Calabria o il grandissimo progetto del ponte sullo Stretto, sul quale stiamo procedendo e siamo vicini al momento veramente straordinario dell'apertura dei cantieri.
D. Considera il ponte sullo Stretto un'opera indispensabile, da realizzare anche in tempi di crisi economica?
R. Certamente, e non soltanto perché qualche anno fa, concluse le privatizzazioni dell'Iri, ho accettato di dedicarmi al ponte di Messina, anche se avrei potuto preferire altri incarichi, perché ero convinto che si trattasse di un'opera dalle grandi ricadute economiche, un progetto infrastrutturale strategico, un elemento importante del sistema strutturale meridionale. E un errore considerarlo solo il ponte sullo Stretto perché è l'ultimo lotto della Salerno-Reggio Calabria, inserito tra le opere prioritarie della rete Trans European Network come snodo fondamentale dell'itinerario europeo del Corridoio 1 che da Berlino arriva a Palermo. Quindi un progetto multimodale di livello europeo di grande valore. Senza il ponte si può immaginare un viaggio in cui da Berlino, arrivati a Reggio Calabria si deve prende il traghetto per attraversare lo Stretto, per poi rimettersi in auto o in treno e proseguire?
D. Perché se ne parlava sin dai tempi antichi?
R. Perché la continuità territoriale con l'isola è un'esigenza reale. Oggi che la tecnologia ci consente di farlo, non si può non realizzare il collegamento dell'Europa con un'isola da 5 milioni di abitanti, la regione più vasta del Paese e la terza per popolazione, e dall'economia debole malgrado sia dotata di risorse naturali. Il collegamento con l'isola sarà importante anche per la Calabria, creando per l'Italia meridionale un vantaggio con il Mediterraneo. In questo mare non basta esservi, bisogna che questa piattaforma naturale sia ben dotata di infrastrutture in grado di attirare e di mantenere il traffico. Non possiamo essere un atollo soddisfatto del vantaggio geografico. Questo vantaggio bisogna tradurlo in movimento, in scambi economici. Il Corridoio 1 costituisce l'occasione per collegare la Sicilia con Berlino, di riconoscere una validità strategica all'isola e all'intero Meridione, di avvicinare il Sud dell'Italia al cuore dell'Europa. E un sistema che riguarda tutta l'Italia meridionale, con ricadute collaterali, positive.
D. Quali possono essere le ricadute per giustificarne la spesa, oltre all'incremento del turismo?
R. Il Golden Bridge non è stato costruito perché i turisti andassero a vederlo a San Francisco, però ci vanno: è un effetto secondario, ma c'è. Le ricadute di queste opere sono moltissime, cominciando da quelle occupazionali, poi di sviluppo scientifico. Nei giorni scorsi abbiamo firmato un altro accordo con l'Università di Messina, abbiamo già avviato borse di studio, stiamo presentando insieme un progetto per un corso di laurea Europa-Stati Uniti. Vogliamo ricordare che l'Università di Berkeley è cresciuta in parallelo con la costruzione del Golden Bridge: un'opera simile diventa uno straordinario laboratorio scientifico. E anche questa è una grande conseguenza: c'è la crescita del sistema ma anche quella della vita quotidiana, perché le migliaia di persone che vi lavorano dovranno vivere, mangiare, alloggiare, muoversi. Molti verranno dall'estero, quindi l'aeroporto dovrà assicurare certe frequenze di voli. Poi la realtà supererà le previsioni e i programmi con una quantità di ricadute dirette e indirette al momento imprevedibili. Oggi, ad una certa ora della sera i negozi sono chiusi, i traghetti non funzionano, gli aerei sono fermi, treni non vi sono, l'insularità fa sentire prigionieri. Il ponte offrirà la possibilità di muoversi verso la Calabria e viceversa, anche solo per andare a mangiare dall'altra parte dello Stretto.
D. L'alta velocità della ferrovia potrà in qualche modo ridurre l'aggravio del traffico automobilistico sulla rete autostradale, particolarmente quello del trasporto su gomma?
R. Credo di sì sugli itinerari principali. Stiamo già vivendo questa esperienza. Indubbiamente se bisogna andare da Roma a Firenze, a Napoli, a Bologna, a Milano, la prima scelta ormai è il treno. Questo è un contributo all'ulteriore accorciamento della penisola dopo quello realizzato con la prima autostrada. Lo vedo nei discorsi operativi di vita quotidiana aziendale. Come Anas siamo presenti in tutta Italia con un Compartimento in ogni regione. Ormai se si tratta di spostare un dirigente da Milano a Bologna non è più un problema, con un'ora di treno, quasi quanto si impiega a Roma per andare dai nostri uffici di Via Monzambano alla Via Cassia. Lo stesso da Firenze a Bologna. Diverso è per i trasporti su gomma, perché per alleggerire il traffico sulla strada il problema più complesso è il trasporto delle merci «porta a porta» o magazzino a magazzino, difficile da realizzare con la ferrovia.
D. Qual'è la soluzione possibile?
R. Una grande opportunità potrebbe essere costituita dalle autostrade del mare di cui siamo convinti da tanto tempo. Il problema non sono le navi, ma la presenza di porti adeguati, di servizi logistici efficienti, di collegamenti che consentano la prosecuzione del viaggio con rapidità fino all'indirizzo finale. Un Paese come il nostro con tante coste potrebbe organizzare un maggiore uso del mare per il trasferimento delle merci, anche di quelle meno ricche. Pur gestendo una rete stradale e autostradale, non siamo nemici della multimodalità. Condividiamo l'obiettivo di una migliore distribuzione del traffico tra ferrovia, mare e strada, perché può derivarne un vantaggio per tutti quanto a costi e manutenzione, ma non dobbiamo farci coinvolgere dalla moda di andare solo in treno e di non parlare neppure di autostrade. Non dobbiamo dimenticare che storicamente le città sono nate lungo le strade, e che adesso sono diventate talmente grandi che occorre portare le vie di comunicazione fuori delle città. In tanti centri urbani italiani il traffico di lunga percorrenza le attraversa, è essenziale separarlo da quello locale, ma questo richiede investimenti. Bisognerebbe creare centri di interscambio per cui, arrivati in prossimità della città, si trovino ferrovia, metropolitana, traffico locale, parcheggi.
D. Come sarà applicato al sistema stradale il federalismo in via di attuazione?
R. Il federalismo stradale ha anticipato di gran lunga ogni forma delle competenze regionali che si discutono oggi. Con la Legge Bassanini della fine degli anni 90 una parte delle competenze della gestione delle strade è passata alle Regioni e anche alle Province, individuando l'Anas come gestore della rete strategica nazionale. È giusto il criterio che una rete strategica nazionale sia gestita in modo centralizzato dallo Stato e che una rete di interesse regionale, a volte addirittura provinciale, sia gestita a livello regionale. Questo principio però non è stato applicato in maniera perfettamente razionale, per cui accade che la stessa strada che percorre più regioni, in una venga gestita localmente e in quella limitrofa dall'Anas. Un esempio è Via Flaminia nel Lazio gestita dalla Regione, in Umbria da noi. Fino a pochi mesi fa l'Aurelia, la strada statale Numero 1, da Roma al confine con la Liguria era gestita dall'Anas, il tratto ligure fino a Ventimiglia da altri. Un sistema che provoca diseconomie. Vi sono in Parlamento proposte per trasferire tutta la rete alle Regioni o distribuire alle Regioni le azioni dell'Anas. Non mi sembra che sia questo il federalismo, soprattutto perché nei riguardi dei principi costituzionali lo Stato deve assicurare una libertà e un'uniformità di movimento che potrebbero essere inficiate passando da una regione all'altra.
D. Le Regioni sarebbero in grado di sostenere totalmente manutenzione, gestione e realizzazione delle loro strade?
R. Anche questo aspetto ha il proprio significato. Posso ricordare i risultati ottenuti dall'Anas negli ultimi anni malgrado le risorse estremamente razionate. Siamo riusciti a portarla a una buona efficienza gestionale, passando da bilanci con 1.500 milioni di euro di perdita a bilanci che per il quarto anno consecutivo sono in utile, per piccole cifre naturalmente, perché non possiamo avere il dividendo dell'Eni. Da quest'anno per l'attività ordinaria di gestione non riceveremo più risorse dallo Stato, che dovrà intervenire solo per le nuove opere o gli interventi straordinari. La nostra autonomia finanziaria, che fino a 5 anni fa era uguale a zero, sarà coperta dalle quote dei pedaggi sulla parte di rete data in concessione, oltreché dalla risorse della pubblicità e delle attività internazionali che stiamo sviluppando. Per quanto riguarda il pedaggio delle autostrade in gestione diretta, circa 1.300 chilometri di autostrade e raccordi autostradali tra i quali il Grande Raccordo Anulare di Roma e la Salerno-Reggio Calabria, siamo in attesa di un decreto del presidente del Consiglio per attuare la norma stabilita dalla legge finanziaria dello scorso anno, che dovrà stabilire le autostrade da mettere a pedaggio e in quale misura. Gli eventuali incassi di questi pedaggi diretti, comunque, non rimarranno nelle tasche dell'Anas, ma saranno destinati a ridurre il debito dello Stato. Solo in una seconda fase non si pub escludere che possano contribuire alla nostra autonomia finanziaria anche per la realizzazione di nuove opere.