Conferenza internazionale sul clima: anche la crisi economica spinge all'ennesimo fallimento
Durban, 6 dicembre 2011 - E’ in corso, a Durban in Sud Africa, la Conferenza internazionale sul Clima, cui partecipano 192 Paesi (per l’Italia, la delegazione è guidata dal Ministro dell'Ambiente, Corrado Clini). E’ probabile che anche questa ennesima occasione per stilare le politiche e le azioni volte alla riduzione delle emissioni inquinanti, si concluda con un nulla di fatto. D’altra parte le profonde differenze tra Paesi industrializzati e in via di sviluppo per giungere ad un accordo condiviso, sono emerse tutte nella bozza di 130 pagine elaborate negli scorsi giorni. Esiste, inoltre, una nuova ed inaspettata difficoltà prodotta dalla pesante congiuntura economica e finanziaria internazionale, con i Paesi occidentali che faticano a trovare una via d'uscita dalla crisi del debito e gli Stati Uniti in fibrillazione in vista delle prossime elezioni presidenziali.
L’insieme di questi fattori costituisce ostacolo alla definizione di politiche ambientali globali, poiché vi è la fondata preoccupazione che i Paesi ‘ricchi’ riducano non solo gli impegni a fornire sostegno economico e finanziario ai Paesi più poveri colpiti dalle conseguenze del cambiamento climatico, ma anche la volontà politica di questi stessi Paesi ad adottare iniziative concrete per far fare progressi ai negoziati sul clima.
L'Unione Europea, che ha svolto in passato un ruolo di avanguardia nella riduzione delle emissioni di gas serra, ha già detto che non si estenderà il protocollo di Kyoto senza un impegno da parte dei Paesi principali emettitori di CO2 a firmare un nuovo trattato entro il 2015, che andrebbe in vigore nel 2020. Si tratta di un arretramento evidente dalla clausola chiave della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che divide i 192 paesi in gruppi diversi per rendere l'impegno possibile e pratico.
I Paesi ‘ricchi’ continuano, inoltre, a rifiutarsi a mantenere i propri impegni per il Fondo Verde per il Clima concordato l'anno scorso al convegno di Cancun. Il fondo mira a stanziare fino a 100 miliardi di dollari all'anno entro il 2020 per aiutare le nazioni in via di sviluppo ad adattarsi ai cambiamenti climatici. Una intenzione rimasta tale perché, sostengono i delegati dei Paesi in via di sviluppo, la crisi del debito ed i budget limitati sono usati come pretesto per sospendere i finanziamenti e a minare gli sforzo globali sul cambiamento climatico, portando i colloqui di Durban "fuori strada".
Fra tante brutte notizie – fra cui quella che il Canada uscirà dal Protocollo di Kyoto entro la fine del 2012 – una sicuramente positiva (quanto poi è tutto da verificare): la Cina ha dichiarato a sorpresa di volersi impegnare nella lotta ai cambiamenti climatici attraverso il raggiungimento di un accordo climatico internazionale vincolante. Il grande Paese asiatico, fra i principali inquinatori del pianeta – non firmò il Protocollo di Kyoto, adducendo il pretesto della necessità di una rapida crescita economica che gli avrebbe impedito di adempiere alla normativa. Altri Paesi non firmatari del Protocollo di Kyoto sono gli Usa e l’India. Così, mentre si discute a Durban, le emissioni di Co2 hanno raggiunto un nuovo record: in totale sono state emesse nell'atmosfera nel 2010 più di 10.000 milioni di tonnellate di diossido di carbonio.
