L'Africa e il "soft power" della Cina

Roma, 06 agosto 2015 - Che la Cina da decenni abbia i gradi della grande potenza economica è certificato anche dal fatto che ormai comincia a accusare le tipiche malattie del rango. Bolle finanziarie, arresto della crescita del Pil, timori di arretramento. Quando arriveranno pure le lotte sindacali, allora sarà a pieno titolo una economia avanzata. Ma noi “occidentali avanzati” di lungo corso forse abbiamo qualcosa da imparare dalla “giovane” economia. A notarlo è Evariste Ngarlem Tolde, economista ciadiano e ricercatore all’Università di N’djamena. Senza mezzi termini afferma che in Africa l’influenza cinese sulla politica e sull’economia, anche con azioni di “soft power”, appare oggi inarrestabile.
In una intervista rilasciata all’agenzia di stampa Anadolou e ripresa dai media occidentali, tra i quali Askanews, avverte che “La Cina è diventata molto potente e indirettamente influenza le politiche dei suoi partner africani. E’ stata capace di occupare un posto ignorato dall'Occidente” portando ad esempio la crisi in Sud Sudan, dove il governo di Pechino si è presentato come mediatore tra le parti nel conflitto in quanto principale investitore nell'industria petrolifera locale.
I dati della Banca mondiale sostengono l’opinione di Tolde. Negli ultimi anni i rapporti commerciali tra Cina e Africa hanno registrato una crescita straordinaria, con un aumento del 30% annuo. L’interscambio nel 2014 ha raggiunto la cifra record di 222 miliardi di dollari. A partire dal 2012, la Cina ha inoltre concesso prestiti per complessivi 30 miliardi di dollari, a sostegno di progetti di sviluppo in diversi settori, dalle infrastrutture all’agricoltura al manifatturiero, fino allo sviluppo di piccole e medie imprese. Ad oggi la Cina è impegnata in oltre 1.000 progetti in Africa, con più di 2.500 imprese cinesi coinvolte in oltre 50 Stati africani. Tra i vari progetti spicca la rete ferroviaria da 2.233 chilometri, insieme a 3.530 chilometri di strada, che Pechino sta costruendo in Kenya per collegare i Paesi del Corno d'Africa.
Ma la vera innovazione nell’approccio della potenza cinese, che Tolde fa notare, è l’impegno di Pechino anche in diverse operazioni di pace, con 2.664 peacekeepers sguinzagliati nel continente, dal Mali al Sud Sudan. E se non bastasse Pechino si è anche infilata nel settore dell’istruzione per radicare la propria presenza nel continente. Secondo l'agenzia di stampa Xinhua, l’Istituto Confucio, che promuove la conoscenza della lingua e della cultura cinese, è presente inoltre 22 Paesi africani e Pechino concede borse di studio a migliaia di studenti del continente.
“Attraverso queste politiche - ha sottolineato Tolde - la Cina è riuscita a imporre il proprio dominio politico ed economico che torna utile ai suoi interessi”. Rimane il fatto che è stata la Cina ad aprire all’Africa il mercato globale, e “a questo punto non intende fermarsi”. Il “soft power” può apparire un metodo subdolo che rischia di compromettere l’identità di un paese. Ma se nel nome della distribuzione di ricchezza e benessere si compiono azioni di peacekeeping, potrebbe risultare uno strumento da valutare con attenzione. Meglio ancora se ad essere esportatori di “soft power” fossero in molti, così da consentire ai paesi ospiti di orientarsi verso quelle meno invasive.