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Briciole di pane

L'Africa ha fame di infrastrutture

II futuro dell'Africa passa dalle infrastrutture

Milano, 4 novembre 2011 - Molti analisti ritengono che uno dei principali limiti allo sviluppo africano sia il gap nei confronti del resto del mondo sul fronte delle infrastrutture. Non è un caso che proprio questo tema sia in cima all'agenda del presidente sudafricano Jacob Zuma, unico capo di Stato del continente nero ammesso nell'esclusivo club del G20. A Cannes Zuma sta sottolineando come l'Africa possa dare un importante contributo alla domanda globale, evidenziando che proprio il continente nero rappresenta un'occasione per investire in infrastrutture, produzione e innovazione, con vantaggi sia dei Paesi ricchi che per l'Africa stessa. Ma a quanto ammonta il fabbisogno africano in questo settore? Uno studio della Banca mondiale lo stima in 93 miliardi di dollari l'anno, includendo sia il mantenimento delle infrastrutture già esistenti che l'approntamento di nuovi impianti in aree che vanno dai trasporti all'energia alle nuove tecnologie. Secondo l'organismo, nonostante i dati dimostrino che i profitti sugli investimenti all'estero siano sostanzialmente più alti in Africa che nel resto del mondo, oltre un terzo di queste infrastrutture nel continente non ottiene i finanziamenti necessari. Gli investimenti diretti degli stranieri insomma - per quanto siano aumentati negli ultimi anni con l'ingresso di nuovi partner come la Cina - restano ancora insufficienti, così come insufficiente è l'accesso al credito per il fiorente settore privato africano. A soffrire sono soprattutto le piccole e medie imprese del continente, che devono lottare per mobilitare le risorse di cui necessitano per crescere e guidare così la creazione di posti di lavoro e lo sviluppo economico. «La mancanza di elettricità intralcia la produzione, l'assenza di buone strade rallenta i trasporti e l'accesso insufficiente alle tecnologie moderne limita l'industrializzazione e l'integrazione nel mercato globale», sottolinea l'ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo, oggi membro dell'Africa Progress Panel. Negli ultimi tempi il problema infrastrutture è sempre più all'ordine del giorno negli incontri dell'Unione Africana. A questo proposito l'organismo continentale ha lanciato numerose iniziative, incluso un piano d'azione quinquennale e un apposito Fondo panafricano di sviluppo. Anche i progetti regionali tra Paesi confinanti sono in aumento: tra questi l'autostrada transafricana e una joint-ventura nell'Ovest del continente sul fronte dell'energia. Da parte sua l'Unione Europea ha varato un'apposita partnership con l'Africa sul nodo infrastrutture per canalizzare gli investimenti del settore privato in alcuni progetti chiave. Senza l'ulteriore sostegno del G20, però, queste iniziative rischiano di essere largamente insufficienti. «Se il G20 mantiene le sue promesse sono sicuro che il settore privato africano farà la sua parte per dare più mezzi ai cittadini e farli sollevare dalla povertà - è il parere di Tidjane Thiam, membro del G20 High Level Panel for Infrastructure Investment -. Il G20 potrebbe far sì che gli aiuti allo sviluppo internazionali diventino uno sprone per la crescita del settore privato, piuttosto che un suo sostituto». Basti pensare agli effetti positivi che la crescita delle infrastrutture avrebbe sulla creazione di mercati regionali più ampi di quelli attuali, anche nel settore delle derrate alimentari e quindi sul fronte della lotta alle carestie. Attualmente in media solo il 10% del commercio dei Paesi africani è realizzato con altri Paesi del continente, mentre il grosso riguarda le esportazioni globali, soggette alla volatilità dei mercati e quindi rischiose dal punto di vista dell'andamento dei prezzi. Una stortura di cui il G20 non può non tener conto.

Paolo M. Alfieri - Avvenire