Le imprese di costruzione italiane crescono solo all'estero
V Rapporto ANCE sulle imprese di costruzione italiane nel mondo
Di fronte ad una preoccupante e perdurante debolezza del mercato interno, il mercato estero sta assumendo un ruolo sempre più centrale per le imprese italiane, tanto che il presidente dell’ANCE ha affermato: “Ormai lavoriamo più all’estero che in Italia”. Tra il 2004 e il 2009 – si legge nel Rapporto – il fatturato estero delle imprese assunte a campione nell’indagine dell’ANCE è più che raddoppiato con una crescita annua del 20% (dai 3 miliardi di euro del 2004 ai 7,2 della fine del 2009), mentre nello stesso periodo il fatturato nazionale è sceso dell’1,8% in media l’anno, dovuto al crollo degli investimenti pubblici (-34%).
In sostanza - afferma il Rapporto - “la crescita delle imprese di costruzione negli ultimi anni è stata trainata esclusivamente dall’estero e la debolezza del mercato nazionale delle opere pubbliche sta facendo sentire i suoi effetti negativi sulle dinamiche di sviluppo delle aziende”.
Dal Rapporto emerge che nel 2009 le imprese del campione ANCE sono presenti in 86 paesi, con 576 commesse per un valore complessivo di 44 miliardi di euro. Guardando alla distribuzione geografica si nota che il Sud America continua ad essere il maggior mercato di sbocco per i costruttori italiani con il 25% del totale dei l lavori (33% se si tiene conto anche del Centro America), seguito dal Nord Africa (16%) e Unione Europea (14%), paesi europei extra UE (13), Medio Oriente 10% , Africa sub sahariana (8%), Asia (4%). Il Venezuela, l’Algeria e la Svizzera sono i paesi in cui le nostre imprese hanno acquisito maggiori commesse negli anni passati, ma guardando alle acquisizioni del 2009 sono emersi altri paesi come Panama , Polonia Kazakhistan che hanno assegnato lavori per 2,36 miliardi di E (Panama), 1,22 mld (Polonia), 789 milioni (Kazakhistan).
Per quanto riguarda le concessioni nel 2009 ne sono state acquisite due: in Cile e Brasile. Nel complesso le imprese di costruzione italiane sono titolari di 14 concessioni in larga maggioranza di strade e autostrade per un controvalore di 17 miliardi di euro. Esse sono localizzate per l’86% in Sud America, il 7% in Europa e il 4% in Asia.
Esaminando il portafoglio globale per tipologia di opere si vede che le ferrovie occupano il primo posto con il 28,7 % dell’importo totale delle commesse, seguito da centrali idroelettriche con il 13%; strade e ponti con il 12,8%, generazione elettrica con 12%, metropolitane con l’8,1, edilizia residenziale con il 5,8%. In queste attività però sono impegnate un numero limitato di imprese di costruzione. Le 10 principali imprese nazionali (Impregilo, Astaldi, Salini Costruttori, Ghella, Bonatti, Trevi, Rizzani de Eccher, CMC, Pizzarotti, Renco) monopolizzano per quasi il 90% del valore della produzione all’estero e dei nuovi contratti. Ma il settore delle costruzioni in Italia è fatto da una miriade di piccole e piccolissime imprese che non hanno le capacità organizzative, tecniche e finanziarie per poter competere sui mercati esteri e aggiudicarsi le gare.
“E’ chiaro che per lavorare all’estero – dice Giandomenico Ghella – ci vuole una certa dimensione di impresa e le qualifiche maturate su lavori in Italia Ma è chiaro che bisogna anche rischiare e accettare una sfida difficile, se non si vuole rimanere tagliati fuori”. L’ANCE ha investito molto negli ultimi anni per sostenere con strumenti adeguati le piccole imprese di costruzione e coinvolgere nelle operazioni internazionali. Di recente è stato creato un “gruppo di lavoro” per le PMI all’estero coordinato da Carlo Ferretti, della Ferretti International, che dovrà individuare le modalità operative per coinvolgere le piccole imprese e portare le più dinamiche fra esse ad inserirsi nei processi di internazionalizzazione.
Il 2010 è stato ancora più favorevole per i costruttori italiani che hanno collezionato nuovi contratti e nuove commesse all’estero per complessivi 18 miliardi di euro, un vero boom se si pensa che la media fra il 2006 e il 20010 era di 10 miliardi di euro l’anno. Questo nonostante il blocco totale dei cantieri in Libia a causa della guerra che ha congelato lavori per quasi 3 miliardi di euro, in cui erano impegnate 9 aziende italiane. Si prevede quindi che per il 2011 ci dovrebbe essere una sostanziale stabilità nel fatturato delle imprese che lavorano all’estero, mentre le nuove commesse faranno sentire i loro effetti positivi nel 2012.
Il Rapporto, infine individua, due elementi di criticità che sono un ostacolo alla realizzazione delle opere : il rischio paese e le garanzie per le commesse all’estero; le difficoltà legate alle restrizioni del credto.. Dato che le imprese di costruzione operano prevalentemente nei paesi emergenti, in contesti politici e negoziali molto complessi e “a rischio” , spesso non sono in grado di reperire le risorse finanziarie attraverso le banche internazionali (perché quasi sempre le banche italiane non sono presenti in loco con loro filiali), le quali considerano tali operazioni eccessivamente rischiose. Ne deriva che spesso accade che l’offerta del consorzio guidato da un’impresa italiana, anche se economicamente e tecnologicamente vantaggiosa, venga scartata per mancanza del requisito finanziario.
La maggior parte dei nostri competitor dei paesi occidentali e anche di alcuni paesi emergenti possono contare su una Agenzia per il credito all’esportazione, dotata di risorse sufficienti a coprire il rischio, sia politico che commerciale. In genere si tratta di agenzie pubbliche, in quanto trattano operazioni non di mercato, come l’Italiana SACE. Da un’inchiesta fra le imprese di costruzione italiane di avvalersi delle polizze assicurative che coprano le aziende dai rischi di mancato pagamento o da altri rischi di natura politica e commerciale risulta che solo il 33% delle imprese accendono una polizza o una garanzia della SACE, il rimanente 66% non lo fa o perché il premio è troppo elevato,(52%), oppure perché non conosce gli strumenti assicurativi (21%), o infine perché ha una bassa propensione ad operazioni di finanza strutturata (26%). Tutti lamentano comunque le complesse procedure della due diligence che la SACE compie su ogni richiesta di garanzia. Quello che viene richiesto è maggiore flessibilità, semplificazione e tempi più rapidi. Cosa che in questo momento in cui l’economia italiana si regge per larga parte sulla domanda estera dovrebbe far parte del “pacchetto sviluppo” all’esame del governo, insieme a tante altre misure a costo zero e grande impatto.