Flash news Infrastrutture:
 
 

Briciole di pane

Libia: delineata la road map delle priorità

Un business fra i 150 e i 200 miliardi di dollari per i prossimi 5-6 anni

Ora che la “liberazione” della Libia è stata ufficialmente proclamata il 24 ottobre a Bengasi, le nuove autorità libiche del Consiglio nazionale di transizione (CNT) hanno delineato la road map delle scadenze che attendono il paese per avviarlo verso la stabilità e la normalità. Fra esse una priorità assoluta riveste la ricostruzione delle infrastrutture andate distrutte durante gli 8 mesi di guerra e di bombardamenti da parte della NATO. Lo ha detto con chiarezza ili Primo ministro del CNT Mahmud Jibril in un incontro del World Economic Forum che si è svolto in Giordania. Jibril non  nasconde le difficoltà : “le sfide immediate che il CNT deve affrontare – ha detto  – rappresentano quasi una “missione impossibile”: riportare la stabilità, requisire i grandi quantitativi di armi in circolazione e avviare il processo di ricostruzione”.

Non è stato finora fatto un inventario dei danni  e delle priorità, ma esse sembrano evidenti. A Tripoli e nelle altre città (Bengasi, Misurata e Sirte)  manca l’acqua, in certi casi l’elettricità. Il sistema fognario è danneggio, molti edifici pubblici sono distrutti o lesionati, interi quartieri , soprattutto vicino alle caserme sono stati abbandonati e si presentano  gravemente deteriorati  così come gli ospedali e le scuole. La strada che da Tripoli porta all’aeroporto è impercorribile e la famosa strada litoranea da Tripoli a Bengasi dove si sono svolti i combattimenti è in vari punti dissestata. In attesa che il Governo provvisorio stili un programma e una lista delle priorità e convochi una Conferenza internazionale, tutti i potenziali partner della Libia stanno scaldando i motori per essere pronti a entrare in un business che viene stimato fra i 150 e i 200 miliardi di dollari per i prossimi 5-6 anni.  Per ora la Conferenza internazionale sul futuro del paese svoltasi a Parigi il 1 settembre ha scongelato 15 miliardi di dollari di beni libici detenuti all’estero, che ammonterebbero a 53 miliardi  di dollari. Pertanto questa prima fase della ricostruzione verrà finanziata da fondi e investimenti che il passato regime aveva depositato in banche estere L’Italia, primo partner economico e commerciale della Libia pre-rivoluzione, è ovviamente in prima fila.

Nel 2010 l’export italiano in Libia è salito a 2,7 miliardi di euro (+11% rispetto al 2009), mentre l’import (quasi esclusivamente prodotti energetici) è balzato a 12 miliardi.

In totale l’interscambio ammonta a  15 miliardi di E , di cui l’80% riguarda le attività di estrazione e raffinazione  di petrolio e gas.  Ma oggi i competitor  sono più numerosi e agguerriti e tenteranno di insidiare il primato acquisito dall’Italia. Ai nastri di partenza ci sono i paesi della NATO che hanno condotto le operazioni belliche a cominciare da Francia e Inghilterra che si sono esposti di più sul piano militare, investendo risorse e ora si aspettano una ricompensa o un trattamento privilegiato. Ma ci sono anche gli outsider come Turchia, Corea del Sud, Cina, Qatar e Arabia Saudita che dispongono di capitali liquidi e sono in grado di finanziare gli interventi oppure fornire linee di credito al Governo provvisorio. Il vantaggio  dell’Italia è dato dalla sua lunga presenza nel paese nordafricano e dalla special relationship che si è instaurata non solo fra i governi, ma fra i popoli e le imprese dei due  paesi.  L’ENI è presente in Libia da oltre 52 anni ed è il primo produttore di idrocarburi in Libia. La società  ha portato lavoro e tecnologia e ha accumulato un patrimonio di esperienze difficilmente ripetibile.

In Libia erano presenti più di 400 imprese italiane nei settori più vari, ma soprattutto in quello delle costruzioni, che avevano contratti per oltre 5 miliardi di dollari. Fra esse oltre ai big come Impregilo, Astaldi, Salini, Italfer ci sono tante piccole e medie imprese come Conicos, che aveva 5 cantieri attivi in Libia con contratti per un miliardo di euro ed era impegnata nella riqualificazione dei sistemi fognari di Tripoli e Misurata. Oggi la riattivazione delle forniture di petrolio è la priorità assoluta del Governo libico,  perché da esso dipendono le entrate  dello Stato. Come è noto la Libia esportava in media 1,7 milioni di barili al giorno prima della guerra, ne ha continuato a esportarne appena 270 mila, con un crollo delle entrate per miliardi di dollari. Le infrastrutture petrolifere sono state risparmiate da attacchi e sabotaggi, ma risultano anch’esse danneggiate o bisognevoli di manutenzione. L’amministratore delegato dell’ENI Paolo Scaroni aveva detto nell’incontro fra Berlusconi e Jibril a Milano il 25 agosto  che “ci vorranno  dai 6  ai 18 mesi per riprendere a pompare petrolio. Per il gas potrebbe andare un po’ meglio”.

Dopo l’incontro di Milano,  Scaroni ha siglato il 29 agosto a Bengasi un memorandum d’intesa  con il CNT in cui l’ENI si impegna ad assumersi i costi economici dei danni subiti dagli impianti e a fornire al nuovo Governo libico petrolio e gas per un periodo di almeno un anno che sarà pagato dai libici a tempo debito. Il governo infatti ha sbloccato 500 milioni di dollari di fondi libici depositati presso banche italiane, che serviranno a finanziare queste operazioni.  Questa è stata la carta vincente che ha permesso all’ENI di tornare in Libia con lo stesso status di prima, conservando le quote di petrolio e gas che aveva prima della guerra, anche se i contratti dovranno essere rinegoziati. Allo stesso tempo l’ENI, che ha in Libia circa 2 mila dipendenti,  si è impegnato a fornire aiuti e assistenza tecnica nella ricostruzione del paese, inviando uomini, mezzi e materiali, appena la  situazione sarà normalizzata. In questo modo la holding petrolifera italiana ha anticipato la Francia che, con la visita lampo di Sarkozy a Bengasi il 15 settembre , pensava di posizionarsi sul mercato libico e ridimensionare il ruolo de l’Italia  nel settore dell’energia, sostituendo l’ENI con la Total. La società francese era presente in Libia ma produceva in loco 55 mila barili al giorno a fronte dei  270 mila prodotti dall’ENI ed era assente nel  settore del gas.

Tuttavia la Francia, che si muove in maniera coordinata e sinergica, non pensa solo al settore petrolifero, ma ha in mente anche altre attività fra cui quello  delle infrastrutture, dei servizi, delle nuove tecnologie. La Medef (la Confindustria francese) aveva organizzato in settembre a Parigi un incontro sulle opportunità offerte dalla Libia a cui avevano partecipato 400 imprenditori. Nelle prossime settimane si segnala una  missione di imprese francesi a Tripoli e  Bengasi, guidata dal Ministro al Commercio estero Pierre Lellouche , il quale ha dichiarato :“Il nostro paese ha assunto rischi politici e militari in Libia. Le autorità libiche lo sanno e ci devono dare qualcosa”. Indubbiamente c’è  una differenza nella gerarchia di preferenze della nuova leadership di Tripoli rispetto alla precedente per quanto riguarda la ricostruzione delle reti  infrastrutturali di base.  I contratti stipulati con il passato regime sono decaduti e devono essere rinegoziati.

E’ prematuro dire oggi se i contratti in essere con le imprese italiane saranno riconfermati. E’ probabile che per le opere necessarie a fronteggiare l’emergenza non ci saranno gare e appalti, ma trattativa al miglior offerente. Quindi le imprese italiane dovranno garantire migliori offerte nei settori dell’edilizia e delle costruzioni, dell’impiantistica, delle forniture elettroniche,  ai macchinari  rispetto alle imprese francesi, inglesi, russe, cinesi e turche.  Ed è difficile per le piccole e medie imprese italiane, strutturalmente più a corto di liquidità,  competere con  concorrenti dei paesi citati che hanno più solide garanzie finanziarie, fornite dallo Stato sia per assicurare i rischi sia per finanziare con apposite linee di credito i costi degli interventi. L’Unione Europea, che ha già stanziato 130 milioni di E per aiuti umanitari e progetti di institutional building, ha promesso per bocca del Rappresentante per la politica estera Catherine Ashton, che la “UE varerà un programma di aiuti per permettere all’economia della Libia di riprendersi e al popolo libico di tornare ad una vita normale”.

Giancarlo Pasquini