Flash news Infrastrutture:
 
 

Briciole di pane

Cultura: "Racconti on the road", on line " Il giorno di Teo" di Simona Sparro

I racconti del primo certame letterario dell'Anas

IL GIORNO DI TEO

 

La mamma di Teo l’ha svegliato molto presto, stamattina. È entrata nella sua camera, si è seduta sul letto e gli ha accarezzato la testa delicatamente, come faceva quando era più piccolo e piangeva per qualcosa. La sua carezza lo faceva calmare, sempre. Si sentiva al sicuro. Anche ora, mentre passa dolcemente la mano sui pochi capelli che gli sono rimasti, senza accorgersi che è già sveglio, subito lo tranquillizza. Tiene gli occhi chiusi per qualche momento ancora, non vuole che smetta. Oggi più che mai ha bisogno di essere tenuto stretto. Vorrebbe dirglielo. Le vorrebbe dire che ha paura, che sente continuamente il bisogno di piangere. Invece resiste all’impulso, perché nonostante abbia solo 12 anni sa che deve essere forte. Lo deve essere per lei, per suo padre Carlo che lo guarda come se fosse un fragile vaso di cristallo. Lo deve essere per Anna, che ha 16 anni e si sente tanto grande ma non è capace di guardarlo senza che gli occhi le si colmino di lacrime. Loro pensano che Teo non se ne accorga. Credono che sia troppo piccolo per rendersi conto, e lui glielo lascia credere per rendere tutto più semplice.


− Piccolo mio, svegliati − gli sussurra sua madre nell’orecchio. A questo punto Teo non può far altro che aprire gli occhi e strofinarseli. Le sorride. In questi anni ha imparato che sorridere non è poi così complicato, anche quando il dolore è tanto forte che le lacrime sgorgano senza che uno se ne accorga. Tendi le labbra e poi cerchi di sollevarne gli angoli. Ha fatto molte prove davanti allo specchio del bagno, in ospedale, nelle ore di solitudine che intercorrevano tra una visita e l’altra. In tre anni è diventato talmente bravo che ha potuto insegnarlo anche ad altri bambini che, come lui, hanno bisogno di ricorrere a un trucco per poter essere trattati normalmente.
Se piangi, tutti ti vedranno per quello che sei, ossa fragili dentro un corpo consumato dalla malattia, e ti impediranno di fare qualunque cosa. Se invece sorridi, nonostante il dolore, ti lasceranno in pace e magari potrai startene in giardino seduto nel prato. Il sole ti scalderà le ossa e il blu del cielo ti riempirà gli occhi. Bandito, il tuo cane, ti porterà la sua palla sgonfia e masticata perché tu gliela lanci. Lo farai e lui te la riporterà indietro scodinzolando. Riuscirai a essere felice. Per qualche breve momento ti sentirai normale.

 

Sua madre gli dice che è arrivato il momento. Deve alzarsi e prepararsi per il viaggio, se ancora se la sente. Lui se la sente, eccome!
È bellissima oggi, con gli occhi appena truccati dalla matita nera. Sembra una ragazzina. Forse è la speranza, quella piccola luce in fondo al buco nero della sua esistenza che la rende così bella. Devono partire, e questo viaggio lo aspettano tutti da troppo tempo. Cerca di sbrigarsi, si solleva a sedere nel letto cercando di fermare la testa che gira un po’ troppo veloce. Appoggia i piedi sul pavimento e rabbrividisce. È giugno, ma la poca carne che ancora gli copre lo scheletro gli impedisce di sentire il tepore primaverile. Piano piano si solleva. Èin piedi. Sua madre lo sostiene per le braccia. – Ce la fai? − gli chiede timorosa. Ancora non si fida a lasciarlo. Teo annuisce mentre stringe i denti. Deve farcela, è il suo giorno.

 

Sono tutti seduti dentro la station wagon di famiglia, ora. Il papà di Teo sta impostando il navigatore, non sono mai stati nel parco divertimenti di Castelnuovo del Garda, perciò non conosce la strada.
Teo guarda sua madre, che è seduta accanto a lui nell’eventualità che si senta male lungo la strada. Ha lo sguardo lontano di chi si è perso in un vortice di riflessioni e non sa come tornare indietro. Teo sa cosa sta pensando. Ha paura che lui se ne vada via presto. Troppo presto. Teme che muoia adesso, o tra un minuto. Lo teme a ogni ora del giorno e della notte. Per questo non dorme molto. Ha due cerchi scuri intorno agli occhi che di solito la fanno sembrare una vecchia, stanca e debole. Invece oggi, nonostante i cattivi pensieri, è riuscita a volersi un po’ di bene, abbastanza da nascondere le occhiaie col trucco. Abbastanza da prestare attenzione all’abbinamento dei colori, quando si è vestita. Probabilmente non durerà. La conosce. Più tardi, quando torneranno a casa, si leverà rapidamente di dosso quella breve felicità, come quando ci si sfila una maglietta e la si getta distrattamente in un angolo della stanza. Tornerà a essere la sua mamma di sempre, accigliata e un po’ malinconica. Però adesso sono qui tutti insieme, e la radio è accesa. La musica riempie l’abitacolo, e mentre suo padre muove la testa al ritmo di Hellsbells degli AC/DC, e alza il volume al massimo, Teo decide che oggi non c’è spazio per la tristezza. Il sorriso che gli illumina gli occhi, questa volta, non è simulato.

 

L’autostrada è uno sfrecciare nevrotico di motori ruggenti. Quando Teo gliel’ha chiesto, suo padre gli ha spiegato che stanno viaggiando sulla A4, che porta a Venezia. Se guarda fuori dal finestrino ha un po’ paura, perché le auto vanno troppo veloci, i camion ondeggiano pericolosamente, gli sembra che tutti vogliano urtarli e buttarli fuori strada. Preferisce fissare il sedile di fronte a sé, dov’è seduta Anna. Immagina che abbia indossato le cuffie e che stia ascoltando il suo lettore MP3. A lei non piace il rock. Troppo rumore, dice. Non riesce ad ascoltare i propri pensieri. Invece a Teo piace. Gli fa venire voglia di alzarsi in piedi e mettersi a scuotere la testa come un matto. Lo fa sentire energico e pieno di vita. Il suo cuore ogni volta accelera i battiti. Anche se non può veramente scatenarsi, si accontenta di farlo con l’immaginazione. Fa tante cose, in questo modo. Vive un sacco di avventure. Spesso immagina delle storie, e le scrive sul quaderno. Ne ha scritte moltissime. Ha cominciato quando aveva sette anni e ancora non era malato, ma non le ha mai fatte leggere a nessuno. Ormai ha raccolto una decina di quaderni. Li tiene nascosti sotto il letto, in una scatola su cui ha scritto: «TOP secret» con il pennarello rosso. Non crede che sua mamma li abbia mai letti. Si fida di lei. Sa che quando non ci sarà più le saranno di consolazione. Leggerà le avventure che suo figlio è riuscito a vivere nonostante la forzata clausura, e si sentirà sollevata.


È strano come tutti evitino di parlare della sua morte, anche se è un dato di fatto che quel giorno sia probabilmente più vicino per lui di quanto non lo sia per i suoi familiari. Lui ci prova, ogni tanto, perché ha tanta paura e parlarne lo aiuterebbe a non avere gli incubi, la notte. Sembra però che per la sua famiglia sia un argomento inaffrontabile. Forse anche loro hanno paura, e così tacciono, fanno finta che vada tutto bene per non rendere reale la cosa che più di ogni altra li terrorizza.
Un giorno lui e Anna erano seduti al tavolo della cucina. Teo stava facendo i compiti, lei invece leggeva uno dei suoi libri sui vampiri con le cuffiette infilate nelle orecchie. A un certo punto lui non ce l’ha più fatta, e gliel’ha chiesto.
“Anna, secondo te quando morirò sentirò tanto male?”.
Lei si è strappata gli auricolari, lo ha guardato con due occhi che parevano infuocati e poi si è messa a bisbigliare come se tutti quelli che conoscevano avessero l’orecchio incollato alle pareti per ascoltare.
“Non devi chiedere certe cose, Teo! Non farlo mai più! Non parlare mai più della tua morte, né con me né con mamma e papà! Hai capito bene?”.
“Perché no? Io voglio saperlo. Ho bisogno di saperlo per essere preparato!”. L’ha implorata ma è stato tutto inutile. Da quel giorno non ha più toccato l’argomento. Però ci pensa spesso, soprattutto di notte, quando il sonno tarda e il silenzio è così vuoto e freddo.

 

Il padre di Teo ha deciso di fermarsi in Autogrill. Mancano pochi chilometri alla destinazione finale, ma Teo ha bisogno di andare al bagno. La sua mamma lo aiuta a scendere dall’auto, ma è deciso quando le dice che vuole farcela da solo.
Cammina con cautela sotto il sole del mattino, sull’asfalto rovente, e si sente svenire. Gli sguardi della gente intorno sono incollati alla sua testa quasi glabra, al suo corpo fragile. Teo sorride, fiero di camminare senza sostegni, felice di essere qui, adesso. La coda per la toilette è lunga, ma tutti lo lasciano passare avanti. Essere malati ha i suoi bei vantaggi, pensa lui.
Ora è dentro al bagno. C’è odore di piscio e di fogna. Nonostante sappia che non dovrebbe, è costretto a sedersi sull’asse rotto del water. Lo fa appena in tempo, perché una violenta scarica di diarrea gli scuote le viscere. Sente le gocce di sudore scorrergli lungo la schiena, e la nausea serrargli lo stomaco. Allarga appena le gambe e guarda dentro la tazza. Qualcosa non va. C’è troppo rosso. Rosso sangue. Si mette a piangere terrorizzato, gli è già successo in passato. L’altra volta è finito in ospedale e ci è rimasto un mese. Non deve dire niente a nessuno. Questo è il suo giorno perfetto, non vuole che finisca così.
Si aggrappa con le mani alla maniglia della porta, e tirando con tutte le poche forze che gli sono rimaste riesce a rimettersi in piedi. Molto lentamente si pulisce, si riveste e cerca di non sembrare troppo debole, anche se sa che nessuno dei suoi familiari ci cascherà.


Quando è di nuovo fuori, sotto il sole, si sente stranamente meglio. La mamma lo sta aspettando. Le va incontro trascinando appena i piedi, il suo sorriso si spegne man mano che le si avvicina.
− Teo, torniamo a casa. Subito! Ti portiamo in ospedale! Carlo, Anna! −. Sua madre si volta a cercare con lo sguardo il resto della famiglia, per ottenere l’approvazione che le serve per poterlo portare via. Ma lui non vuole tornare indietro.
− No! Io voglio andare, mamma! È il mio viaggio, questo, e io voglio andare! Ti prego! − piagnucola cercando invano di liberarsi della sua stretta sul braccio destro. Sa di frignare come un bambino piccolo, ma non può evitare di farlo. Questo viaggio è tutto ciò che gli resta.
Lei lo guarda sconfitta. Se lo porta via ora, sa che se ne pentirà per il resto dei suoi giorni. Potrebbero non avere un’altra occasione. Arriva Anna con un succo di frutta in mano.
− Per te, rompiscatole − dice allungandogli la bottiglia di plastica. Poi lo abbraccia forte. Non lo fa spesso, e Teo si lascia andare in quell’abbraccio. Il contatto dura pochi secondi. Anna è una ragazzina pratica, poco incline ai gesti d’affetto, ma per lui quei pochi istanti sono stati infiniti. È come se Anna gli avesse trasmesso un po’ della sua linfa vitale. Si è ricaricato. Anche la mamma se ne è accorta. Non ha più le sopracciglia aggrottate, il viso si è rilassato.
Carlo li aspetta in auto, con l’aria condizionata accesa. Ripartono infilandosi nel traffico dell’autostrada. La meta è vicina, e Teo comincia a sentire l’emozione delle prime volte.

 

Quando prendono l’uscita, non riesce più a trattenere l’agitazione.
− Questo è il più bel giorno della mia vita! − esclama, e tutti si voltano a guardarlo. Ègioia quella che legge nei loro occhi. Sono anni che non si respira un’aria così leggera, nella sua famiglia, e sa di averne il merito. Questo giorno è suo, ma anche dei suoi genitori e di sua sorella. Èun regalo.
Finalmente entrano nel parco divertimenti. Non ha bisogno di dire nulla, si incamminano subito verso le montagne russe. Questo era il suo sogno. Volare. Anche solo per poco, toccare vette altissime. E poi ricadere giù. Fanno tutti la fila per salire. Anche sua mamma, che è terrorizzata dall’altezza. Per Teo farebbe qualsiasi cosa.
− Grazie, mamma – le dice.
Lei lo guarda perplessa.
− Per cosa, Teo?
− Per avermi portato qui. Perché mi vuoi bene. Per essere mia mamma.
− Oh, Teo. Così mi fai piangere!
− Devi ridere, invece! Perché io non sono mai stato così contento! Dai, vieni, tocca a noi!
La prende per mano e insieme si infilano nei sedili del trenino, dietro di loro ci sono suo padre e Anna. Si volta indietro per fare il segno della vittoria a sua sorella. Lei gli risponde alzando entrambi i pollici. Le imbragature rigide si abbassano, e il treno finalmente parte. Teo spalanca gli occhi, grida, ride, alza le braccia lasciando l’imbragatura mentre il treno corre sui binari, fa il giro della morte. Teo sta volando. La gioia è tale da fargli girare la testa. Ha immaginato questo momento decine di volte, ogni volta che guardava i video su YouTube chiudeva gli occhi e si immaginava nel punto più alto delle montagne russe. Adesso è qui, e la bellezza di questa giostra spazza via ogni fantasia. La realtà è perfetta.

 

Quando finiscono il giro, Teo è stanchissimo. Non riesce nemmeno ad alzarsi da solo dal sedile. Sua madre lo solleva dalle ascelle, se lo stringe al petto, il cuore velocissimo per l’apprensione. Teme che averlo portato lì abbia peggiorato le sue condizioni. Non poteva fare altrimenti, avevano tutti bisogno di respirare quell’aria leggera e frizzante che si può trovare solo in posti come questo. Luoghi dedicati esclusivamente alla gioia e alle risate. Sa che probabilmente sarà l’ultima volta, per suo figlio. E vorrebbe averlo fatto prima, quando ancora le sue guance avevano colore, quando ancora mangiava con appetito e riusciva a trattenere il cibo nello stomaco. Ora il suo aspetto è quello di un bambino che sta morendo di fame. Trattiene le lacrime stringendo i denti dietro al sorriso. Ha imparato anche lei il gioco di suo figlio. Curvare le labbra per non far capire a nessuno quello che c’è dietro.

 

Il viaggio di ritorno rende sempre un po’ malinconici. Che si torni dalle vacanze, o dall’incontro con un amore, sancisce comunque la fine di qualcosa. Teo però ha ancora il cuore in gola, e il suo sorriso non si è spento. Sua madre gli tiene la mano, le lunghe dita intrecciate alle sue, fredde e sottili. Sfrecciano sull’autostrada sotto il sole di mezzogiorno. Adesso c’è poco traffico, e Teo guarda fuori dal finestrino. C’è poco da vedere, solo campagne coltivate a mais intervallate a zone industriali, grigie e fumose.
La radio trasmette un pezzo degli anni Settanta. La musica è bellissima.
− Come s’intitola, papà?
− Perfect Day, amore. È di Lou Reed.Ti piace?
− Non capisco le parole, me le puoi tradurre?
− Racconta di una giornata qualsiasi. Una giornata che sembra banale, ma che è resa perfetta dalla presenza della persona che si ama.
− È bellissima.
Teo chiude gli occhi. La musica lo avvolge. È arrivato il momento. Orapuòfinalmenteriposare.

 

Oh, it’s such a perfect day

I’m glad I spend it with you

Oh, such a perfect day

You just keep me hanging on

You just keep me hanging on…


 

Simona Sparro