Diritto alla mobilità dei disabili: battaglie normative e culturali
Tre storie datate 2016. Piccole, ma di buon auspicio

Roma, 22 Febbraio 2017 – Esiste una particolare (forma di) mobilità che non è indicatore di crescita economica, o di andamenti di import-export: è qualcosa di più e di meno allo stesso tempo, un indicatore di civiltà.
Parliamo, doverosamente, della mobilità delle persone disabili. Definita come “diritto” dall’ONU, con la solennità propria degli atti internazionali (“Al fine di consentire alle persone con disabilità di vivere in maniera indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli ambiti della vita, gli Stati Parti debbono prendere misure appropriate per assicurare alle persone con disabilità... l’accesso all’ambiente fisico, ai trasporti, all’informazione e alla comunicazione”, recita la specifica Convenzione delle Nazioni Unite del 2006). Ma effettiva solo se le varie amministrazioni, centrali e non, orientano le loro prassi verso tale obiettivo: un cammino lento, graduale, culturale oltre che normativo.
Le buone notizie, però, vanno date. Sarebbe inesatto – e in fondo anche improduttivo – sostenere che, negli ultimi tempi, non è successo nulla. Nel 2016, per esempio, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha diramato un’utile nota di chiarimento, la n. 1567 dell’11 marzo: con essa si stabilisce che il “contrassegno invalidi” spetta a chi ha una sensibile riduzione delle capacità di deambulazione, ma non necessariamente una patologia agli arti inferiori. La patologia ben potrebbe essere, in ipotesi, pure di tipo psichico. Insomma: la sostanza del problema – la menomazione della persona in rapporto alla mobilità e alla fruizione della strada – deve prevalere sulle “etichette” formali.
Sempre nel 2016 è ripartita, a Roma, la sperimentazione di Tommy (Tommy 2.0, per l’esattezza): un dissuasore per auto che occupano abusivamente i posti riservati ai disabili, realizzato anche con il contributo dell’ACI. Se l’auto non autorizzata occupa il parcheggio, un rilevatore fa partire un avviso sonoro; quest’ultimo dovrebbe invogliare il conducente a liberare lo spazio ovvero, nella peggiore delle ipotesi, richiamare l’attenzione della prima pattuglia di polizia municipale disponibile. Degno di nota il fatto che il suono di Tommy 2.0 sia proprio quello di una sirena antifurto: perché, davvero, chi parcheggia nei posti riservati senza averne diritto “ruba” un pezzo di vita a un’altra persona, esposta – anche solo per rientrare in casa propria – a difficoltà enormi.
Verso la fine dell’anno, poi, si è pronunciata la Corte Costituzionale (sentenza n. 275 del 16 dicembre 2016): la tutela dei diritti delle persone disabili non può essere vanificata da prescrizioni che la subordinano a finanziamenti aleatori. È stata pertanto dichiarata incostituzionale una legge (regionale) che garantiva, alle Province del territorio, un contributo per le spese del servizio di trasporto degli studenti disabili solo “nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa”. Lapidaria la sintesi formulata dalla Consulta: “è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”.
Tutti piccolissimi miglioramenti, non si vuol certo affermare il contrario. Ma la loro limitatezza non è per forza sinonimo di irrilevanza.