Editoria, "1948 – Gli italiani nell'anno della svolta" di Mario Avagliano e Marco Palmieri
Un saggio, pubblicato dai tipi del Mulino, sull'anno decisivo per la politica italiana e per gli italiani
Il 48 è certamente un numero che raccoglie in sé diversi significati simbolici, non solo per quel che concerne la smorfia, che sia napoletana o romana, antica o moderna: per esempio è passato nella tradizione popolare a indicare un caos senza regole, una confusione primigenia nella quale è pressoché impossibile mantenere il senso dell'orientamento e in cui nulla rimane intatto. Questo naturalmente perché ci si riferisce al 1848, l'anno dei moti nazionali e internazionali che hanno avuto luogo anche nell'ancora disunita Italia e che volevano proporre istanze etiche, civili, morali, sociali, culturali, economiche e politiche moderne all'attenzione di una società iniqua che aveva già vissuto numerose rivolte. Ma in realtà anche il 1948, di cui quest'anno ricorre il settantesimo, è rappresentativo di un'epoca di indubbia rilevanza, le cui conseguenze, come insegna la storia (che - parafrasando Gramsci - è noto esser maestra a cui mancano allievi), sono vive ed evidenti anche in questi nostri tempi così convulsi, frenetici, mutevoli, multiformi e senza memoria, come raccontano Mario Avagliano (direttore delle Strade dell’Informazione) e Marco Palmieri nella loro nuova opera 1948 – Gli italiani nell’anno della svolta, edita da Il Mulino, nella collana Biblioteca Storica.
Il 1948 è anno decisivo soprattutto per quel che concerne l’Italia - il paese dei campanili, di Peppone e Don Camillo, del più grande partito comunista al di qua della cortina di ferro, di Togliatti che rischia la vita per un attentato e di Bartali, il Ginettaccio, l’eroe dei pedali, il giusto tra le nazioni che contribuisce a “salvare” l’ordine pubblico conquistando l’alloro del Tour de France - che usciva devastata dal secondo conflitto mondiale, aveva appena abbandonato la monarchia per la repubblica, si era appena data una costituzione che prendeva il posto dell’ottocentesco statuto albertino promulgato da casa Savoia. Un’Italia che si avviava alle prime elezioni del 18 aprile in cui i partiti che avevano fatto la Resistenza e liberato l’Italia dal nazifascismo si presentavano divisi, le sinistre contro i moderati, quella Democrazia Cristiana che al grido di “Dio ti vede, Stalin no!”(nel segreto della cabina elettorale, s’intende) ottenne uno strepitoso successo elettorale che spianò anche la strada all’arrivo dei fondi del piano Marshall, trampolino di lancio del successivo boom economico.
1948 è quindi l’anno che sintetizza tutti i comportamenti e le scelte degli italiani, l’anno che ha determinato nel bene e nel male quello abbiamo voluto essere e che ancora siamo: la forte partecipazione popolare alle scelte politiche, le campagne elettorali moderne, le figure degli attivisti di partito, ma anche la personalizzazione dello scontro politico, la demonizzazione dell’avversario, l’uso della propaganda attraverso slogan semplici e spesso rozzi. Mario Avagliano e Marco Palmieri tornano a firmare un saggio chiaro, semplice, dotto, approfondito, interessante, istruttivo, che si legge come un romanzo, e attraverso il sapiente uso di lettere, diari, relazioni delle prefetture, della polizia e dei carabinieri, articoli di giornale, volantini, manifesti elettorali e altri documenti coevi, ricostruiscono in modo mirabile l’effervescente clima dell’epoca, ricco di passioni, di aneddoti, di episodi divertenti e anche di una classe politica all’altezza dei compiti così ardui del dopoguerra.