Editoria, "Cacciatori di frodo" di Alessandro Cinquegrani
Esordio di Alessandro Cinquegrani nella narrativa con un'opera, che fra case cantoniere e binari morti, racconta la nostra Italia
Cinquegrani costruisce una prosa inedita e racconta con grande forza – attraverso la tecnica del flusso di coscienza in un’estetica da dramma teatrale – la storia di un uomo che ha perso tutto dalla vita e che ora sopravvive solo insieme ad una donna che dal giorno della morte del loro bambino non ha più aperto bocca, che è sepolta con lui. Così attraverso i pensieri di Augusto e del suo passato vengono alla luce le tragedie di una famiglia che ha abbandonato la confortevole vita piccolo borghese per vivere nel degrado in una casa cantoniera abbandonata. Nell’amplificazione della struttura teatrale, l’autore, presentato anche al Premio Strega per quest’opera, formula il vecchio schema dell’allegoria per raccontare la nostra Italia attraverso i fantasmi di una famiglia all’apparenza come tante. Da loro viene fuori tutta la cronaca dell’ultimo secolo del nostro Paese. Partendo proprio da quei luoghi abbandonati fra la casa cantoniera, il fiume e il binario morto dove un tempo è sorta l’Italia, un’Italia che ha combattuto, per la quale è morta tanta gente nelle battaglie della Prima Guerra mondiale per poi solo fare spazio prima al fascismo (incanalato nella figura del padre), poi ad un’altra guerra, poi alla Prima Repubblica dominata dalle ombre della DC in stretta alleanza con una Chiesa corrotta (la figura della madre e del prete pedofilo) e agli anni di piombo (quella del fratello) per finire con una donna, la moglie, quintessenza di una società contemporanea annichilita dal vuoto e dalla perdita, dall’insensatezza di fatti di violenza che non si comprendono (l’eco della lunga serie di casi di donne che hanno ucciso i loro figli in fasce). Augusto è costretto a fare i conti con tutto quello, lui che ha sempre fatto tutto per loro perché doveva essere un buon figlio, un buon fratello, un buon marito, un buon padre. Alla fine possiede la colpa di averli protetti anche quando non doveva. L’assurdità del vivere umano in un romanzo che non è un romanzo - perlomeno non nel senso più comune del termine – ma più l’essenza di una performance fisica alla Marina Abramovic, il sapore di uno spettacolo teatrale, l’estetica di un’immagine filmica. Un racconto costruito attraverso la forma della parola, che fluisce nelle ossessioni umane attraverso le sue compulsive ripetizioni linguistiche, il ritmo di una poesia interiore, ritmata dalle rime dei suoi versi, che è quella della sofferenza. Il canto di una vita che si consuma fra la terra di un binario morto, la decadenza di una casa cantoniera in attesa che il fiume con tutta la forza mitologica che può possedere spazzi via tutto lo sporco e il dolore dei corpi. Non è certo un libro facile Cacciatori di frodo di Alessandro Cinquegrani sia per temi che per forma di scrittura; per la sua complessità e originalità linguistica si accosta a Esercizi sulla madre di Luigi Romolo Carrino. Insieme due dei migliori volumi narrativi dell’ultima stagione fra le pubblicazioni delle case editrici indipendenti.
Alessandro Cinquegrani, Cacciatori di frodo, 109 pp.; Miraggi, Torino 2012; 12,50 €