Editoria, "Il mare che bagna i pensieri" di Ilma Rakusa
Tra Trieste e Leningrado, in viaggio verso quell'Est che non c'è più
La freddezza quasi xenofoba di questo posto nei confronti degli stranieri, paradossale se si pensa che nel tempo ha accolto milioni di rifugiati proprio per il suo status neutrale, è un tema ricorrente negli autori naturalizzati svizzeri, ad esempio la scrittrice e musicista serbo-svizzera Melinda Nadj Abonji lo tratta come perno centrale del suo recente Come l’aria (edito da Voland). Un contrasto, quello tra est e ovest molto forte nella scrittura contemporanea, che Rakusa sottolinea nel calore dei suoni e soprattutto nei colori di quegli altri luoghi (quelli dell’Oriente) che erano stati suoi, nelle terre d’origine dei suoi avi, a casa dei nonni o a Trieste, vera e propria porta fra Oriente e Occidente, il cui vento, la bora, che aguzza la rabbia del mare, “strappava via tutto ciò che le veniva incontro” e allo stesso tempo era metafora di quella transitorietà che non conosce “regimi politici, fluttua in libertà”.
Ed è sui racconti della sua infanzia di apolide che prende piede la personale storia della Rakusa, dipanata attraverso una narrazione che utilizza varie forme di scrittura, dalla forma del diario, a quella del reportage giornalistico, a quella poetica, che si avvale di scritti personali, di quelli di alcuni componenti della famiglia, di quelli di altri autori, soprattutto russi, passando da toni nostalgici ad altri più concreti, come quando racconta gli anni passati in Russia, a Leningrado, altro racconto della transitorietà storica di una città divisa, che in pieno regime comunista dei tardi anni Sessanta/metà degli anni Settanta respira fra i suoi antichi monumenti e costruzioni di epoca zarista prima di approdare alla San Pietroburgo di oggi, un posto svuotato della sua essenza e fatto di caffè internazionali, negozi, criminalità organizzata e mancanza di tempo. In sostanza, Il mare che bagna i pensieri è un racconto di una transitorietà non solo geografica quanto soprattutto temporale, che ha cancellato un intero mondo e un’intera concezione di esso.
La Rakusa racconta l’essere stranieri come modo di vivere, come essenza della propria esistenza passata in un regime di transitorietà permanente. Ricordando così con nostalgia un’Europa nella quale fare affidamento e che diventa, a detta di Martina Meister “una lezione sul XX secolo, nel corso del quale gli esseri umani sono stati spesso trascinati alla deriva delle onde della storia, per venire poi rigettati a caso su una qualche sponda”. Proprio come l’autrice, che ha compreso l’arbitrarietà dei confini fra le Nazioni, confini che non percepiscono quelli delle culture, delle fedi (si fa molto riferimento nel testo alla diaspora e ai rituali ebraici di questi luoghi), che fra Trieste e Cracovia hanno un’unica, vera, forte identità, che si rispecchia e si riconosce pur nelle sue diversità. Ma le emozioni di questa storia e di tutto quello che esprime, che dell’espressione narrativa del memoir possiede il respiro, la forza e la determinazione linguistica, restano racchiuse nella descrizione dei colori e dei suoni di tutti quei luoghi ormai oggi orfani di se stessi e delle proprie idee.Ilma Rakusa (trad. e postfazione di Mario Rubino), Il mare che bagna i pensieri, 369 pp., Sellerio editore Palermo, 2011