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Briciole di pane

Editoria, "Il truffatore di fiducia: una messinscena" di Herman Melville

L'ultimo romanzo dell'autore di "Moby Dick" è un capolavoro di ambiguità sulle sponde del Mississippi

Roma, 5 settembre 2014 - È un mondo crudele quello che condanna certi artisti ad avere più notorietà decenni dopo la propria dipartita. Nel territorio vastissimo di quei giovani Stati Uniti del XIX secolo, dove il teatro non esisteva nella forma che conosciamo oggi e la cultura era ancora considerata una forma non di primaria importanza rispetto al vivere quotidiano fatto di fame e miseria, Herman Melville si ridusse a fare l’ispettore doganale nel porto di New York, dove altresì molte storie ebbero spunto per le sue opere, quando i suoi volumi venivano considerati libri per ragazzi o storie di genere, ma la sua fama ancora era lontana da quella che avrebbe accompagnato il suo nome attraverso la riscoperta di molti studiosi a cavallo di tutto il Novecento. Perciò come ogni grande autore d’avanguardia lui racconta il nuovo, quello che ancora deve essere valutato come grandioso. Nel 1857 diede alle stampe quello che a tutti gli effetti sarà il suo ultimo romanzo pubblicato in vita, ben 34 anni prima della sua morte che sarebbe avvenuta nel 1891, “Il truffatore di fiducia: una messinscena” (ripubblicato recentemente da Cavallo di Ferro e curato da Alessandro Gebbia, docente di letteratura de “La Sapienza”).

 

Qui, come Twain, Melville sceglie la società in totale evoluzione commerciale dell’Ottocento americano, quella che si sposta sempre più verso Ovest, verso le prateria, verso la costruzione a tutti gli effetti di un nuovo mondo, quello che oggi conosciamo, e che non è solamente il racconto che ne ha fatto Hollywood con i suoi film di genere western molti anni dopo, ma quello dei narratori come Melville, che insieme al suo amico Nathaniel Hawthorne, fa parte di quella letteratura che viene accostata alla definizione di Rinascimento americano, e dalla quale nei decenni successivi sarà fonte di ispirazione o semplicemente di modello per Willa Cather, Booth Tarkington, A. B. Guthrie e compagnia. E in particolare simile a quello di Mark Twain è lo sfondo di un Mississippi losco, sudicio, traditore, ambiguo raccontato attraverso una storia ambientata su un battello a vapore, il cui protagonista conquista subdolamente tutti i suoi passeggeri attraverso un viaggio nelle forze dell’oscurità che termina a New Orleans, riscoperta patria culturale e narrativa dopo l’uragano Katrina del 2005. La ciclicità di una città, di un tempo e di uno spazio che fanno della letteratura americana la sua forza e di Melville quel padre di cui un figlio apprezza le sue virtù solo quando non può più dirglielo.

 

Herman Melville, “Il truffatore di fiducia: una messinscena” (a cura di A. Gebbia, trad. di Stefania Minacapelli), 411 pp.; Cavallo di Ferro, Roma 2014; 17,50 €

Erminio Fischetti