Editoria, "La luce di Cloudy Bay" di Favel Parrett
Lirico e scarno esordio letterario che racconta una solitudine umana e geografica fra incanti naturalistici e bestialità umana
Roma, 1° luglio 2013 - La Tasmania è un’isola dell’Australia posta nella zona sud-orientale del continente. A sua volta nella parte meridionale dell’isola si trova Cloudy Bay, una spiaggia meravigliosa con un orizzonte incantato. Qui la vita viene modellata dagli umori del mare, la circostante comunità di pescatori possiede una bussola “interna” che intuisce tempeste e mareggiate, venti e acqua, definisce l’esperienza di una vita passata a contatto con una natura capricciosa. È su questo sfondo all’apparenza magico che si svolge la vita di tre fratelli, Joe, Miles e Harry, che vivono la loro quotidianità all’interno di quell’architettura naturalistica, ma anche con un padre violento che fa di tutto per umiliarli e vessarli. In particolare trasmette il suo astio nei confronti del più piccolo, Harry, che invece non ama il mare che lo circonda, bensì lo teme. Al suo esordio nella narrativa con La luce di Cloudy Bay, la scrittrice australiana Favel Parrett, omaggiata da numerosi premi letterari, tra cui il Miles Franklin Award, il più prestigioso del suo Paese, costruisce un ritratto lirico del rapporto fra uomo e natura.
Il contrasto pone un’analisi ricca di sfumature proiettando una visione non certo positiva nei confronti di entrambi, che ad un certo punto sembra unirli in una selvaggia crudeltà sancendo il destino di Miles e Harry a vittime di un mondo violento. Il terrore dei tre ragazzi, anche se ormai Joe non vive più a casa e sta per abbandonare l’isola per cercare lontano da tutta quella violenza la sua dimensione, è continuo e perenne nei confronti di quella figura paterna sempre ubriaca, irascibile, che nasconde anche un doloroso segreto riguardante la madre dei suoi figli, uccisa durante un brutale incidente stradale e la cui verità è nascosta dalle nebbie della memoria di Miles. Un romanzo lacerante ed intenso, ricco di una prosa estremamente elegante e lirica, ma al tempo stesso asciutta e scarna. Parrett declina vari e universali temi, come l’infanzia negata, l’affetto fraterno, la violenza e la perdita, per coordinare il ritratto umano e geografico della solitudine. Sceglie uno sfondo come la Tasmania che si rivela perfetto nella sua posizione, uno dei luoghi più a sud del mondo, solitario, bellissimo – non a caso gettonata meta turistica grazie alle sue aree protette, alla sua fauna e alla sua flora marina. Uno di quei luoghi ancora incontaminati che amplificano la brutalità evocata dal racconto, tanto da diventarne il vero protagonista, il deus ex machina che prende piede nella vicenda attraverso le sue onde, le sue mareggiate, i suoi vortici.
“Oltre le acque basse, oltre le baie dai fondali sabbiosi , ecco le acque oscure, nere e fredde e tempestose. Tracciano una rotta invisibile, una nuova traiettoria che avrebbero dovuto seguire. Verso un luogo caldo. Verso un luogo nuovo.” Acque che trovano la loro dimensione un po’ come la natura umana . E un po’ come la vita è sorprendente quanto possa essere pacifico il mare la mattina dopo una grossa tempesta.
Favel Parrett, La luce di Cloudy Bay (trad. di Carla Togni e Giovanni Giri), 176 pp.; Gran Vía edizioni, Narni (TR) 2013; 13,00 €