Editoria, "Train Dreams" di Denis Johnson
Suggestivo racconto epico sul passaggio dall'America di frontiera a quella industriale attraverso il mito del treno
Roma, 6 settembre 2013 - L’America rurale, l’America del mito del West, del self made man, delle pianure infinite e delle montagne rocciose, l’America che si costruisce con la deforestazione per fare nuove strade, ponti, case, l’America dei nuovi mezzi di trasporto, del treno come simbolo di progresso. Selvaggia bellezza che si staglia a perdita d’occhio. È questa l’America di frontiera del trentenne Robert Grainier nell’estate del 1917, operaio di una compagnia ferroviaria che sta costruendo un ponte lungo la gola di Robinson. In una calda giornata assiste ad una scena che lo segnerà per il resto della sua vita: un immigrato cinese accusato di aver rubato del materiale appartenente alla compagnia viene aggredito, alcuni uomini stanno quasi per ucciderlo quando questi fugge via lanciando ai suoi assalitori una maledizione. E Robert era proprio fra quegli assalitori. Dopo alcune settimane il ponte ferroviario da loro costruito è terminato e il nostro protagonista può ammirare con orgoglio la prima locomotiva che lo attraversa.
Denis Johnson è uno degli autori più acclamati degli ultimi anni e con questo Train Dreams (che, dopo l’ineguagliabile Albero di fumo, lo ha portato per la seconda volta tra i finalisti del Premio Pulitzer per la narrativa nell’annata, quella scorsa, dove non è stato proclamato alcun vincitore) riporta in auge il formato breve della novella, che in poco più di cento pagine dal piccolo formato racconta la vita di un uomo sullo sfondo di gran parte del Novecento americano e di tutti i suoi più importanti stravolgimenti storici e sociali. L’America selvaggia dei pionieri che diventa società industriale vista da un comune pover’uomo, a suo modo sensibile, capace di accettare con dolore, ma anche rassegnazione i tragici eventi di cui è protagonista, in primis la morte della moglie e della figlioletta in un incendio che non ha loro lasciato scampo.
Train Dreams, pubblicato in origine per The Paris Review nel 2002 e poi rieditato in volume nel 2011, è un canto intenso che ricorda non solo la vecchia letteratura di Steinbeck e Faulkner, ma anche il cinema di John Ford e Howard Hawks; sembra di scorgere in particolare fra le pagine in cui si descrive la quotidianità dei taglialegna del Nord America le immagini di uno dei capolavori di quest’ultimo, Ambizione, realizzato a quattro mani con William Wyler nel 1936, noto infatti proprio per una potentissima scena del disboscamento di una foresta (che fu però diretta nello specifico dall’aiuto regista Richard Rosson). Struggente e lirico, questo piccolo libello è una poesia in prosa sul senso della vita, sulla solitudine, sulla violenza, che pur nella sua distruttiva perseveranza lascia intatti i sogni del protagonista, che sono sempre condotti, sin dal suo trasferimento da alcuni parenti in seguito alla morte dei suoi genitori da ragazzino alla fine dell’Ottocento, da un treno che lo porterà altrove. La sua è un’esistenza errabonda che mai troverà pace fino alla sua morte alla fine degli anni Sessanta, ormai pluri-ottantenne. In queste poche pagine, che si leggono in fretta, ma si assaporano con lentezza, l’intera vita di Robert Grainier passa davanti ai nostri occhi. Una vita fatta di sconfitte, di perdita, ma anche di riscatto e piccole gioie, come può essere quella di assistere alla prima locomotiva che passa lungo la gola di Robinson.
Denis Johnson, Train Dreams (trad. di Silvia Pareschi), 115 pp.; Mondadori, Milano 2013; 12,00 €