La grande autostrada che diede agli italiani il loro vero posto al sole
Celebrando il "compleanno d'Italia" il Riformista racconta l'A1, capolavoro d'ingegneria
Roma, 15 marzo 2011 - L’ingegneria italiana del dopoguerra ha fatto parlare di sé il mondo intero. Non erano soltanto alcuni genii isolati, ma una scuola di lunga tradizione, temprata dalle opere fasciste e, per tante figure, svecchiata dall'esilio nei paesi liberi e più avanzati durante l'occupazione nazifascista della Seconda guerra mondiale. L'Italia ferita dalla guerra, con un paese distrutto e provato economicamente e a livello infrastrutturale dall'autarchia del secondo governo Crispi prima e di Mussolini poi, seppe rimboccarsi le maniche e uscire fuori dal disastro con una ripresa che, sorretta dalla lira, allora moneta forte, stupì tutta Europa. In meno di venti anni si ricostruirono pezzi di città e si dette corso ad alcune importanti grandi opere. Non tutto fu ben costruito e dalla metà degli anni Sessanta in poi si costruì forse più del necessario (soprattutto per quel che riguarda l'edilizia residenziale), come anche il film di Francesco Rosi Le mani sulla città dimostra molto bene. Tuttavia, una delle opere che fece applaudire al nostro paese da parte della comunità internazionale, fu senz'altro l'autostrada A1, detta Autostrada del Sole, o anche AutoSole. Non era soltanto un tratto di strada a quattro corsie con il caratteristico divisorio all'italiana che era composto per lo più da guard-rail contrapposti al cui interno correva per tutto il corso della striscia di asfalto una alta siepe di pittosforo, l'autostrada A1 significava anche gallerie, ponti, viadotti, salite e curve, cioè un complesso percorso di mobilità su gomma che doveva servire finalmente a mettere in relazione più velocemente il Nord e il Sud della penisola, da Milano a Napoli. Il tragitto è lungo ben 762 chilometri e attraversa l'intera Italia più o meno partendo dalla capitale lombarda, passando per l'Emilia, da Parma fino a Bologna e da qui, il tratto del valico Appennino, forse il più impegnativo costruttivamente e per la percorrenza, fino a Firenze. Scendendo a sud la strada arriva fino ad Arezzo, con una deviazione quasi impercettibile sulla carta, ma che fu chiamata al tempo "curva Fanfani", perché si diceva che l'allora potente politico della Democrazia cristiana, originario proprio di Arezzo, volle servire la propria città. Poi l'autostrada del Sole si addentra nell'Umbria per arrivare quasi alle porte di Roma e da qui prosegue verso Frosinone e Caserta, raggiungendo Napoli. Il progetto era molto ambizioso, ma serviva soprattutto a far muovere l'economia interna della nostra nazione, se solo pensiamo che all'epoca un camion che volesse fare lo stesso percorso dalla Campania alla Lombardia, o viceversa, impiegava almeno due giorni su strade statali affollate, fatiscenti e pericolose. L'ingegneria italiana, tra la metà degli anni Cinquanta e la metà dei Sessanta visse il suo momento di maggiore fulgore. Nel 1960 fecero parlare di sé gli impianti costruiti in tempi record per le Olimpiadi, così le strutture e i padiglioni di Torino del 1961 per le celebrazioni del Centenario dell'unità nazionale; opere curate dal genovese Pier Luigi Nervi. Ma anche Riccardo Morandi era un italiano che si distinse internazionalmente per aver costruito a Maracaibo il ponte allora più lungo del mondo. Questo rinascimento dell'ingegneria italiana, concise con il cosiddetto miracolo italiano, cioè il boom economico che si portò dietro tanto entusiasmo, diffuso benessere tra la popolazione e la capacità di grandi investimenti pubblici da parte dello Stato repubblicano. E ciò fu possibile, proprio all'uscita dal deserto tecnologico e industriale del dopoguerra, anche grazie al Consiglio nazionale delle ricerche e al suo presidente dal 1944 al 1956, quel Gustavo Colonnetti che promosse per tutto quel decennio un fortissimo sostegno alla ricerca tecnologica nel settore delle grandi strutture, impegnandosi a far entrare anche in Italia lo studio e l'uso del cemento armato. Un altro protagonista di questa rinascita fu il direttore del Cnr, Franco Levi che a Torino fece scuola a tutti quei professionisti che in seguito avrebbero progettato proprio tutte le migliori opere infrastrutturali del nostro paese. La prima pietra dell'Autostrada del Sole fu posta il 19 maggio del 1956, ma fu sotto il secondo governo Fanfani (ne avrebbe guidati cinque fino alla fine della sua carriera politica) che fu aperto il primo pezzo, da Milano a Panna. Il tratto del valico appenninico, da Bologna a Firenze venne inaugurato alla fine del 1960, e quello da Roma nel 1962.1 raccordi e l'intera AutoSole fu completata e inaugurata in diretta televisiva da Aldo Moro, allora presidente del Consiglio, il 4 ottobre del 1964. Ma chi furono gli artefici del grande progetto viario nazionale? Furono due ingegneri, in ruoli diversi ma entrambi efficaci. Giuseppe Romita del Politecnico di Torino, in qualità di ministro dei Lavori pubblici, e Fedele Cova, in qualità di amministratore delegato di Autostrade per l'Italia e direttore tecnico dei lavori. Romita, con la Legge 463/1955 aveva proposto la realizzazione di due autostrade cosiddette dorsali, quella del Sole e quella Adriatica. A queste si dovevano aggiungere la Due mari Napoli-Bari, la Salerno-Reggio Calabria e la Palermo Catania. Non dobbiamo neppure dimenticare che di autostrade gli italiani se ne intendevano perché, in qualche modo le avevano inventate, con la realizzazione della Milano-Laghi, nel 1924, prima strada a sistema chiuso per automobili (cioè con i caselli di pedaggio), progettata dall'ingegner Piero Puricelli. Ma il vero grande progetto fu proprio la A1 nel disegno definitivo elaborato dall'ingegnere del Politecnico di Milano, Francesco Jelmoni. II tratto di oltre 760 chilometri era composto da circa quattrocento viadotti, alcuni di essi erano capolavori di estetica, funzionalità e solidità. In circa otto anni, dal 1956 al 1964, l'Italia vedeva conquistato il plauso del mondo costruttivo, e finalmente aveva la percezione che la sua industria e la sua scuola ingegneristica era riuscita non solo a riprendere i vantaggi e le competenze di altri paesi più floridi e meno danneggiati dalla Guerra, come la Francia e l'Inghilterra, ma addirittura a diventare esempio di capacità progettistica, volontà politica, soddisfazione sociale.
(Fonte: Il Riformista)
(Fonte: Il Riformista)