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Briciole di pane

La storia passa per le strade

“Andare per le vie militari romane”: il professor Giovanni Brizzi per Il Mulino traccia l’identikit degli albori delle infrastrutture

Giovanni Brizzi, professore emerito di Storia romana dell’Università di Bologna, pubblica con i tipi de Il Mulino un volume agile e scorrevole che ripercorre in breve la storia delle vie militari romane: l’Appia, la Flaminia e l’Emilia, in particolare, consolari sorte nell’arco di 125 anni fondamentali nella storia dell’Urbe. “Andare per le vie militari romane” è una sorta di guida che ripercorre il quadro dello spazio e del tempo della civiltà romana, in cui la strada è la componente più importante. 

Con la progettazione dell’Appia, Roma proponeva di difendere il versante tirrenico dislocato intorno all’Urbe, la cosiddetta “prima Italia”. La Via Flaminia, la via militaris per eccellenza, ha poi consentito di separare i principali nemici, i Galli e i Sanniti, e permesso di controllare entrambe le coste della penisola. Infine, ma non ultima, la via Emilia (187 a.C.) dà modo di controllare l’area settentrionale e presidiare le frontiere nel contesto del periodo che segna l’espansione romana dalla Britannia al fiume Eufrate. 

Su queste premesse, non è un caso che la parola “strada” derivi infatti proprio dal latino: via (lapidibus o glarea) strata, ossia via lastricata di pietre o di ghiaia. Il geografo, storico e filosofo greco Strabone infatti ricorda che “in tre cose principalmente posero cura i Romani, che dai Greci furono trascurate, cioè nell’aprire le strade, nel costruire acquedotti e nel disporre nel sottosuolo le cloache”. In sostanza la capacità stessa di governare lo spazio e collegare, o meglio controllare, un territorio complesso, ampio e frammentato dalle guerriglie per dominare i popoli e sottometterli. La costruzione delle strade diventa così il mezzo per esercitare il proprio potere, espandere l’economia, sfruttare le risorse, ma anche promuovere gli scambi e favorire l’integrazione. I primi albori della globalizzazione, verrebbe da dire, appartengono proprio a quell’epoca. È così che è nato e cresciuto un impero che andava dalla Scozia all’Egitto, dalla Mesopotamia allo stretto di Gibilterra: secondo il dato dell’Itinerarium Antonini, un’antica guida per viaggiatori, l’asse viario romano aveva un’estensione di oltre 53 mila miglia solo considerando le principali direttrici, quelle battute dall’efficiente servizio postale.

Eppure le strade sarebbero più antiche della cosiddetta era repubblicana: il ritrovamento di alcuni resti archeologici, come precedenti basamenti, fa supporre che i Romani abbiano “rimodernato” percorsi che già esistevano, risalenti al periodo etrusco. Lo dimostrano segmenti rinvenuti a Fiesole, Perugia, Saturnia e Gravisca, che contraddicono gli scritti di Servio secondo cui a insegnare la costruzione delle vie erano stati i Cartaginesi. Ciò non toglie che, se anche l’idea non fosse stata romana, lo è stato senza dubbio il perfezionamento e la qualità delle costruzioni, determinata per esempio dall’introduzione della malta di calce e sabbia per compattare la base sottostante. 
 

Erminio Fischetti