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Briciole di pane

Musica: "Sulla strada" di Francesco De Gregori

De Gregori festeggia il suo ventesimo album attraverso il tema del viaggio.

Roma, 3 dicembre 2012 - Ha scelto la strada Francesco De Gregori come tema cardine del suo ventesimo album. Parole come treno, aereo, cammino, passo d’uomo, tutti tipici del gergo trasportistico, diventano con la sua musica ritmo e suoni poetici. Così, il titolo della raccolta "Sulla strada”, che echeggia sì al classico di Jack Kerouac, fautore della beat generation, si rivela ritratto completo e complesso dell’intero Novecento e non solo di uno scorcio generazionale. Lo lascia intuire già il titolo di uno dei nove brani della raccolta, il terzo, “Belle Epoque”, che è un racconto dettagliato di luci, suoni e colori di un mondo nuovo che attraverso “il vento che fischia” segna l’inizio del Novecento. Un secolo di speranze. Questo nuovo lavoro del maestro romano sembra dare nuova linfa vitale alla sua carriera traendo a mani basse non solo dalle radici più pure di una musica meno legata alla sfera politica, come in passato, ma anche alla tradizione melodica e alla ballata della canzone italiana più pura e incontaminata non disdegnando riferimenti al folk, dai ritmi più nostalgici. Suoni ed emozioni che sono ritratto di un mondo antico che riconduce al tema del viaggio e riporta alla memoria il ritratto di un'Italia fatta di sfondi rurali, spazi immensi, dimensioni lente che scorrono immobili al passaggio dei nostri affanni quotidiani.

De Gregori lascia tutto in un rivolo di meccanismi narrativi dolorosi e forti messi a servizio della sua splendida musica. Il senso del movimento così acquisisce una dimensione universale ed è messa in rapporto agli eventi del secolo più veloce della Storia, che ha permesso la funzionalità di quelle infrastrutture (strade, ponti, binari, etc.) che hanno a loro volta permesso di unire popoli e culture, o a seconda dei casi omologare, alla radice comune del progresso. I titoli sottintendono appunto il tema canonico del viaggio: fisico, ideologico, morale. Da quello di apertura "Sulla strada", dal ritmo intenso, che apre la raccolta sui nove brani, narrando di un "ponte su una cascata", di una macchina usata che procede su una strada sullo sfondo di case in collina, del mistero della strada sotto gli occhi di un leone di pietra, a "Passo d'uomo", il racconto di un operaio che mangia pane che sa di polvere e acqua che sa di ruggine, ma che costruisce il progresso, passando per "Omero al cantagiro", una ballata dai toni romaneschi che richiama ai "piedi buoni della salita", e quindi al cammino lento e operoso generato dalle proprie stesse energie. Ed è il tempo che scandisce l'immobilità di questi luoghi, un tempo romantico fatto di brandelli, di ricordi e di armonie come in "Showtime" che richiama visivamente "un'onda che si muove nel cuore".

Il pezzo più straziante e sintomo di un'innocenza perduta, definito dai suoi stessi versi, è “La guerra”, storia poeticissima di un soldato "solo in mezzo al campo" dove la carne e il sangue in tutti i suoi brandelli scomposti stridono con la pace e il silenzio di una sposa "con il cuore disperato" che attende il suo amato che forse non tornerà più perché "un bersaglio in mezzo al fuoco". Lontani, ma uniti dal senso di abbandono, dalla disperazione della solitudine. Tempi, spazi e ritmo di una guerra che è quella Grande del triennio, per l'Italia, che va dal 1915 al 1918. Sensazioni di cui la cultura stessa di quel secolo, e di quegli anni in particolare, è stata portatrice sia di cambiamenti sociologici che storici e intellettuali, come l'accettazione degli studi freudiani sulla psicanalisi, la fine della guerra stessa (che hanno segnato, fra le altre cose, l'inizio di una messa al bando di tutta una serie di monarchie europee, in primis il crollo degli Asburgo e la fine dell'Impero austro-ungarico). Il ritornello “Abbiamo preso la campagna, abbiamo perso la città, abbiamo preso l’innocenza, abbiamo perso la pietà” rinforza il senso di un cambiamento non solo storico ma anche necessariamente umano: il progresso, i miglioramenti tecnologici, la costruzione selvaggia di infrastrutture hanno trasformato le campagne in città e allo stesso tempo le città sono diventate non luoghi privi di quelle identità che in passato le rappresentavano. Ora tutto è chiaramente anonimo, solitario, impenetrabile, non riconoscibile.

Erminio Fischetti