Nei nomi delle strade il racconto della nostra storia
Il Venerdì di Repubblica approfondisce i recenti dibattiti nella toponomastica italiana ed internazionale

Il potere della toponomastica sulle vite degli uomini. Ai nomi delle strade, il Venerdì di Repubblica vi dedica non solo la copertina ma ben due lunghi articoli di approfondimento. Il giornalista Michele Gravino ne “Per andare dove dobbiamo andare…” fa una sorta di piccola autobiografia per indirizzi.
Ci si diverte a scoprire come le città italiane siano piene di nomi di vie intitolate a personaggi di cui ignoriamo la storia e le ragioni della dedica oppure retaggio di un passato coloniale e che oggi sono in pieno conflitto con il politically correct. Tra i casi in questione, Amba Aradam che a Roma è una centralissima e trafficata arteria vicino San Giovanni. Emerge inoltre il problema anche di polemiche recenti tra cui quella riguardante Cristoforo Colombo. Interessante è il punto di vista di Enzo Caffarelli, fondatore e direttore da 26 anni della Rivista Italiana di Onomastica per cui “Gli odonimi tradizionali nascono come semplici indicazioni. Solo con la Rivoluzione francese nasce l’abitudine dargli un intento pedagogico: ecco allora strade e piazze dedicate a personaggi, eventi o valori da celebrare”. Nella ricostruzione storica fatta da Gravino ci si sofferma sul novecento, e in particolare sul fascismo, con Mussolini in persona che nel 1931 firmò una circolare che obbligava ogni paese a intitolare una strada non secondaria alla capitale. Non a caso oltre 7mila degli 8.100 comuni italiani hanno una via, piazza o corso Roma. Roma che guida la top ten dei nomi più diffusi per luoghi pubblici, precedendo Giuseppe Garibaldi, Guglielmo Marconi, Giuseppe Mazzini e Dante Alighieri. Mentre tra i personaggi stranieri, sul podio Kennedy, Allende e Martin Luther King, invece per quanto riguarda le donne, Santa Maria, Santa Lucia e Regina Margherita. La fine del regime fascista si portò via anche i nomi dedicati al ventennio e al nazionalsocialismo. Un attivismo, quello odonomastico che non si ferma neanche ai giorni nostri, basti pensare alla proposta del sindaco milanese Giuseppe Sala, di dedicare una via a Craxi o a quella di Sgarbi di onorare l’aviatore Italo Balbo o il comune di Terracina, propenso a intestare una piazza alla memoria congiunta di Berlinguer ed Almirante. Se di recente molti nomi di vie o piazze dedicate a scienziati compromessi con la firma delle leggi razziali sono stati cambiati ancora molto va fatto per quanto riguarda la parità di genere. Infatti solo il 3-4% del totale delle strade italiane sono dedicate a donne.
Le polemiche sulla toponomastica però, non riguardano casa nostra. Il giornalista Riccardo Staglianò, in altro articolo sempre su Repubblica, “Non voglio abitare in via Google”, intervista una esperta in materia, la scrittrice Deirdre Mask, di cui Bollati Boringhieri ha appena pubblicato il volume “Le vie che orientano”. Da Roma a Londra, da New York a Calcutta, da Berlino a Soweto: un intreccio di storie nascoste, basate su documenti sorprendenti, interviste e incontri bizzarri, in uno stile narrativo appassionante. Questo saggio ironico e provocatorio, eppure drammaticamente serio, esorta a riflettere sulle strutture più contraddittorie dell’ambiente che ci circonda. Allo stesso tempo indica gli spazi del possibile che si dischiudono quando iniziamo a riappropriarci dei significati delle nostre città. Mask ricorda come fu l’imperatrice Maria Teresa d’Austria a organizzare nel 1770 il sistema dei numeri civici per identificare facilmente le abitazioni dei giovani soldati da mandare in guerra e nel secolo successivo Robert Moon ad inventare il codice di avviamento postale.
Il Novecento, spiega la scrittrice è stato contrassegnato da gravi contrasti perché sempre più ci si accorgeva come gli indirizzi stradali influenzano la gente comune in giro per il mondo. I nomi delle strade sono la nostra eredità culturale, ciò che decidiamo di tenere o buttare via del passato. Orientano i cittadini a livello topografico ma soprattutto identitario, agendo in modo diffuso e inconscio. Il futuro sembra però in mano alla tecnologia con sistemi che potrebbero fornire indirizzi digitali ai tanti luoghi del mondo che ancora ne sono sprovvisti. Sebbene questo scenario non esalti Mask: “Da un punto di vista più teorico, i nomi che diamo alle strade spesso dividono le comunità ma quelle stesse liti sono ciò che dimostrano l’esistenza delle comunità. Mi piacciono i dibattiti sono un segno di vitalità. Gli indirizzi digitali li evitano in radice ma non è necessariamente una buona cosa”.