No ai SUV nel centro storico: il Consiglio di Stato dà ragione al Comune
Una minuziosa analisi della regolamentazione della circolazione nei centri abitati

Roma, 5 aprile 2016 - Le regole, si sa, sono fatte con un materiale-base: le parole. Un materiale più performante, l’umanità deve ancora inventarlo. Ma una parola, anche una sola, può esprimere una gamma di significati parecchio articolata e mai completamente controllabile: con il risultato che le regole, pure quelle meglio espresse, possono celare trappole più o meno grandi; a maggior ragione, quando si tratta di regole integrate in un complesso insieme, com’è (o dovrebbe essere) il Codice della Strada.
Un esempio recente ci viene dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato: sezione quinta, sentenza 5191 del 13 novembre 2015. Vicenda piccola ma significativa, problematizzata a partire da una parola della lingua italiana: la parola “categoria”.
L’art. 7 del Codice della Strada – siamo nel Titolo I, “Disposizioni generali” – stabilisce che il Comune “per accertate e motivate esigenze di prevenzione degli inquinamenti e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale” può, con ordinanza, limitare la circolazione di tutte o di alcune “categorie” di veicoli (ci sarebbe anche, tramite un rinvio, l’art. 6, ma si può qui tralasciare perché il discorso nella sostanza non muterebbe).L’art. 47 del medesimo Codice – siamo passati al Titolo III, “Dei veicoli” – dispone la classificazione dei veicoli: a) veicoli a braccia, b) veicoli a trazione animale, c) velocipedi, d) slitte, e) ciclomotori, f) motoveicoli, g) autoveicoli (a loro volta distinti in autovetture, autobus, autocarri ecc.), h) filoveicoli, i) rimorchi, l) macchine agricole, m) macchine operatrici, n) veicoli con caratteristiche atipiche.L’art. 47 aggiunge, poi, che i veicoli a motore e i loro rimorchi sono altresì classificati in base alle “categorie” internazionali, riportando il lungo elenco di tali “categorie”: per esempio, e sono solo degli esempi, “categoria L1e” (veicoli a due ruote la cilindrata del cui motore non supera i 50 cc e la cui velocità massima di costruzione non supera i 45 km/h), categoria L3e (veicoli a due ruote la cilindrata del cui motore supera i 50 cc o la cui velocità massima di costruzione supera i 45 km/h), categoria M1 (veicoli destinati al trasporto di persone, aventi al massimo otto posti a sedere oltre al sedile del conducente), categoria M2 (veicoli destinati al trasporto di persone, aventi più di otto posti a sedere oltre al sedile del conducente e massa massima non superiore a 5 t.), categoria N1 (veicoli destinati al trasporto di merci, aventi massa massima non superiore a 3,5 t.), categoria N2 (veicoli destinati al trasporto di merci, aventi massa massima superiore a 3,5 t. ma non superiore a 12 t.).
Ed ecco la vicenda: un importante Comune italiano, nell’intento di limitare l’accesso al centro storico dei cosiddetti SUV (Sport Utility Vehicles), aveva, con ordinanza, stabilito di non rinnovare permessi per la ZTL alle “autovetture” aventi diametro delle ruote superiore a 730 millimetri – ossia, in pratica, ai predetti SUV.
Repentino ricorso alla giustizia amministrativa (TAR, poi Consiglio di Stato) delle società produttrici o importatrici di veicoli di quel tipo: il Comune, a loro avviso, non poteva ideare una “categoria” (o “sottocategoria”) nuova, quella delle autovetture con ruota di diametro superiore a 73 cm., ma doveva scrupolosamente attenersi alle “categorie” fissate dal Codice all’art. 47, e a quelle soltanto. Questo perché, sempre secondo le ricorrenti, l’Ente pubblico non ha margini di creatività allorquando applica una legge che gli attribuisce un potere: e immaginare una “categoria” di veicoli individuata dalla mera circonferenza delle ruote, senza riferimenti all’art. 47, trasforma la discrezionalità in arbitrio.
Risposta di Palazzo Spada: il Comune, con quella scelta, è rimasto nell’alveo della legittimità. Occorre concentrarsi sul “perché” l’ente proprietario delle strade abbia quei poteri: “per accertate e motivate esigenze di prevenzione degli inquinamenti e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale”, recita l’articolo 7. L’ordinanza comunale, nelle motivazioni, rappresenta chiaramente che strade e marciapiedi del centro cittadino, risalenti al Medioevo, sono inidonei a sopportare il transito e la sosta dei veicoli di cui si tratta, veicoli che d’altronde, proprio grazie ai loro pneumatici, sono facilitati nel compiere manovre scorrette, provocando anche danneggiamenti alla pavimentazione. Tanto basta, a giudizio del Consiglio di Stato, per concludere che non c’è, in tale regolamentazione della circolazione, né illogicità né irragionevolezza; potendosi così argomentare che (citiamo direttamente dalla sentenza, molto lunga) “non vi è alcuna decisiva ragione per ritenere che le ‘categorie’ cui ha riguardo l’art. 7 debbano necessariamente corrispondere alle classi ufficiali di omologazione. Il richiamo legislativo al concetto di ‘categoria’ va inteso, invece, in modo più elastico, dovendo essere funzionale agli interessi pubblici perseguiti di volta in volta dall’Amministrazione in concreto in applicazione della norma in rilievo. Né è senza importanza il fatto che, come le stesse appellanti riconoscono, quella dei S.U.V. sia pur sempre una ‘categoria’ commerciale, per quanto variegata”.
È una vicenda, lo abbiamo detto all’inizio, piccola ma significativa. I poteri e compiti dell’Ente proprietario della strada si svolgono su un crinale delicato; sentenze come questa sono la ‘spia’ di tale delicatezza.
Nella ventilata futura riforma del Codice della Strada – ammesso che vada in porto – la parte sulla classificazione dei veicoli e quella sulla mobilità in ambito urbano potrebbero addirittura finire in due testi legislativi (o regolamentari) diversi e autonomi. Ma occorrerà, comunque, molta intelligenza nel redigere le disposizioni. Impiegando, in ogni caso, “parole” appropriate.