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Briciole di pane

A proposito di sinistri mortali e condanne penali

Per la Cassazione, decisivo il concetto di "causalità della colpa"

Roma, 23 giugno 2016 – “Causalità”. Ovvero: quando si può affermare che una certa condotta umana ha “cagionato” un certo evento? Il tema è molto filosofico, ma sarebbe drammaticamente sbagliato pensare che sia privo di risvolti pratici. In caso di incidente mortale, buona parte del processo ruota proprio attorno a tale tema: che può fare, da solo, la differenza tra condanna e assoluzione.

In effetti, sfogliando una raccolta di giurisprudenza degli ultimissimi mesi, troviamo, a distanza ravvicinata, due decisioni emblematiche della IV Sezione penale della Cassazione: se raffrontate, permettono di intravedere tutta la delicatezza, e la complessità, del “mestiere di giudicare”.

Caso esaminato dalla sentenza 11642 del 25 febbraio 2016: l’automobilista A, giunto a un’intersezione, non rispetta lo stop e avanza significativamente oltre la linea d’arresto; sulla strada avente diritto di precedenza procede, a notevole velocità, il motociclista X, che per evitare A perde il controllo del mezzo; l’urto di X contro un terzo veicolo ha esiti mortali.

Sentenza 16995 del 29 marzo 2016: l’automobilista B lascia per molto, troppo tempo (circa 9 ore) la propria vettura, sprovvista di carburante, sulla corsia d’emergenza di un’autostrada; finché non sopraggiunge il motociclista Y, che procede a 120 km/h sulla corsia stessa, e l’impatto contro la parte posteriore dell’auto gli è fatale.

Ebbene: secondo la Cassazione, è corretto che i giudici di merito abbiano condannato A e assolto B.

Apparentemente si tratta di incoerenza giudiziaria: in entrambi i casi l’automobilista ha violato una norma del codice stradale, in entrambi i casi pure la vittima – il motociclista – teneva una condotta di guida imprudente. Perché una simile diversità di trattamento?

La risposta risiede nelle motivazioni, ben articolate tanto nella 11642 quanto nella 16995. Per fondare una condanna penale per omicidio colposo, è indispensabile che l’imputato abbia violato una norma tendente a evitare proprio quel rischio in realtà concretizzatosi. E’ indispensabile, cioè, che l’addebito cautelare illumini il nesso eziologico rispetto al verificarsi dell’incidente, altrimenti la condotta dell’imputato è mera “occasione”, non “causa” in senso giuridico dell’evento-morte (gli amanti dei romanzi di Carofiglio sanno che all’avvocato Guido Guerrieri questo linguaggio farebbe venire l’orticaria, ma pazienza).

La regola violata dall’automobilista A, rispettare lo “stop”, è stata posta proprio per evitare interferenze a coloro che percorrono la strada avente diritto di precedenza, e proprio perché si sa che questi ultimi potrebbero anche tenere una velocità di marcia non idonea: da cui la colpa di A.

Invece, la regola violata dall’automobilista B (sostare sulla corsia d’emergenza autostradale solo per il tempo strettamente necessario, e comunque mai più di tre ore) ha come finalità non quella di garantire l’incolumità di quanti possano invadere la corsia in questione, ma quella di consentire il transito senza intralcio di mezzi di polizia o di soccorso: da cui la pronuncia assolutoria nei confronti di B.

Una doverosa annotazione, per concludere. La Cassazione ha giudicato incidenti verificatisi alcuni anni or sono, e lo ha fatto applicando principi tradizionali, consolidati (non c’è retroattività in materia penale). Parecchie cose potrebbero mutare con la legge sull’omicidio stradale del marzo scorso, suscettibile di incidere – alla lunga – sul concetto stesso di “causalità della colpa” e aprire, così, una fase nuova nello svolgimento di applicazioni giudiziarie che, rammentiamolo, potrebbero riguardare ciascuno di noi. Ma è ancora presto per dirlo.

Davide Fornaro