Quarantennale dell'austerity, i nuovi scenari della mobilità
Quaranta anni dai provvedimenti urgenti assunti dal Governo nel 1973 per fronteggiare la crisi petrolifera
Roma, 14 gennaio 2012 - Nell’anno appena iniziato cade l’anniversario di un avvenimento che, per quanti si interessano a tematiche inerenti la mobilità, permane tuttora carico di significati proiettabili anche sull’oggi. Sarà, infatti, il quarantennale dell’austerity. Ossia: dei provvedimenti urgenti assunti dal Governo nel 1973 per fronteggiare la crisi petrolifera. Provvedimenti che toccarono vari aspetti della vita sociale, dall’orario degli spettacoli cinematografici all’illuminazione cittadina. Ma che, si può dire, passarono alla storia per un aspetto particolare: il divieto totale della circolazione automobilistica privata domenicale. Come tali, si consegnarono alla memoria collettiva.
I giorni dell’austerity sono, per definizione, i giorni delle circonvallazioni vuote, dei viali urbani occupati dalle biciclette, degli incroci stradali trasformati in campi da calcio. Già questo è, di per sé, un elemento rivelatore: il solo fatto di incidere, autoritativamente, sulla mobilità colpì l’immaginario collettivo molto più di quanto avvenne per gli interventi su tutti gli altri settori. Segno evidente che quell’aspetto della vita sociale, la mobilità, ha, e aveva, importanza assolutamente primaria.
Una seconda riflessione attiene all’insieme dei valori fondamentali in gioco e al relativo punto di equilibrio, mutevole a seconda dell’evoluzione storica. Infatti, sia pure a livello approssimativo, si può rilevare che, quarant’anni fa, quei provvedimenti parvero a molti una lesione della libertà di circolazione, costituzionalmente garantita tra i diritti fondamentali della persona (art. 16 Cost.). Oggi, probabilmente, i giudizi sarebbero diversi. Nel dibattito politico e accademico, l’attenzione si sta gradualmente spostando dal concetto di “circolazione” (individuale) al concetto di “mobilità sostenibile” (per la collettività e per il territorio). In questa seconda accezione, anche esigenze di risparmio di fonti energetiche, in quanto collegate a forme di tutela ambientale e/o della salute, potrebbero rivestire piena dignità costituzionale.
Ci sarebbe, poi, una terza riflessione, di natura prettamente tecnico-giuridica. Nel 1973, il Governo stabilì che il divieto di circolazione sarebbe stato materialmente adottato con ordinanze dei prefetti e dei sindaci. Dunque, nel pieno rispetto degli strumenti istituzionali di regolamentazione della circolazione (artt. 3 e 4 del Codice della Strada allora vigente) e, anzi, avvalendosi di tali strumenti. Da questo punto di vista, la centralità dell’assetto di competenze amministrative relativo alla regolamentazione della circolazione - tra l’altro, con l’imprescindibile coinvolgimento degli Enti proprietari di strade - si rivela un dato di fondo del sistema, che le politiche di mobilità (qualunque sia il loro obiettivo e contesto) non possono aggirare. Un esempio: il recente progetto della Consulta Generale dell’Autotrasporto e della Logistica sulla “distribuzione urbana delle merci” fa leva proprio sull’art. 7 dell’attuale Codice della Strada (“Regolamentazione della circolazione nei centri abitati”: il corrispondente dell’art. 4 del vecchio Codice).