Soluzioni innovative (ma antichissime) per la mobilità del personale sanitario
C'è un dottore dell'ASL che si sposta a cavallo. Con vantaggi anche di tipo terapeutico

In semiotica, si è soliti ripetere che il mezzo è il messaggio: il reale effetto comunicativo viene prodotto assai più dalle caratteristiche del medium prescelto che dal contenuto in sé veicolato.
Lo stesso non si può dire nel campo della mobilità: in questo caso, il mezzo (di trasporto) è neutro rispetto all’obiettivo. Una tonnellata di alluminio deve arrivare a destinazione e basta: non diventa ‘migliore’ o ‘peggiore’ se trasportata con camion, o nave, o ferrovia; un pendolare deve semplicemente raggiungere l’ufficio ogni mattina e sceglie il treno, il bus o l’auto considerando tempi e costi, non certo fantomatici effetti sulla sua attività lavorativa; un ingegnere che deve ispezionare una diga in alta montagna si servirà della jeep o dell’elicottero a seconda dell’urgenza del caso, ma il risultato finale dell’attività dipenderà esclusivamente dalla sua bravura di ingegnere, non dal mezzo di trasporto impiegato.
Eppure, le cronache locali di questi giorni ci offrono una piccola ma significativa eccezione: un caso, cioè, in cui davvero il mezzo - di trasporto - prescelto incide sostanzialmente sul risultato. È una microstoria che si svolge tutta nelle Langhe, e che ha attirato l’attenzione addirittura dell’agenzia France Presse; in Italia, è stata raccontata dal quotidiano La Repubblica. È la storia di Roberto Anfosso, medico di base della Asl Cuneo 2, il quale per effettuare le visite di routine ai suoi pazienti più anziani usa il cavallo (foto AFP). Ai lati della sella due bisacce, con tutto ciò che serve: stetoscopio, misuratore di pressione, medicinali, blocchetto di fogli per le impegnative. “Ogni settimana - spiega il dottore - percorro da ottanta a cento chilometri a cavallo; nei primi tre anni ho fatto circa mille visite, ora ho smesso di contarle. Sono diventate troppe”. Racconta il suo amico e paziente Ignazio Fortino: “Siamo abituati a vederlo arrivare a cavallo, per noi non c’è nulla di strano. Si crea un bel rapporto, abbiamo l’impressione che lui non abbia fretta e si possa prendere meglio cura di noi”.
Ed è proprio questo il lato straordinario della vicenda: l’effetto realmente terapeutico che ha il vedere arrivare il medico a cavallo. Un effetto che non si produrrebbe, se fosse utilizzato un SUV. Anfosso ne è più che convinto: “Quando un medico arriva a cavallo, il malato sente che il dottore ha più tempo da dedicargli. Si crea una relazione speciale, molto umana, meno istituzionale”; e aggiunge: “Un altro aspetto positivo, è che le persone anziane si concentrano troppo sui loro problemi e il cavallo riesce a distrarle: se una visita dura venti minuti, ne passano dieci a parlare del cavallo, dei loro ricordi”.
Una piccolissima storia, certo. Suscettibile, però, di ispirare qualche nuova riflessione in tema di sostenibilità ed efficienza trasportistica. Oltre al pensiero che tra “Ippocrate” e “ippica” c’è più che un’assonanza.