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Briciole di pane

Torino: apre il nuovo Museo dell'Automobile firmato Cino Zucchi

Torino, 19 marzo 2011 -  Inaugurato nel novembre del 1960 su progetto di Amedeo Albertini, il Museo Nazionale dell’Automobile di Torino riapre il 19 marzo. L’intervento sull’architettura di Albertini rafforza la prospettiva sul paesaggio urbano, consacrando il rinnovato Museo a porta sud della città. Superati i landmarks delle celebrazioni del centenario dell’Unità d’Italia e delle Olimpiadi invernali del 2006, per chi entra a Torino da sud percorrendo la parkway lungo il corso Unità d’Italia, il Museo è la prima nuova architettura della città: la porta sud del XXI secolo, l’ingresso al fitto tessuto urbano disegnato dall’industria che il Museo stesso invoglia a esplorare

. I viaggiatori possono mutare lo sguardo «automobilistico» per cui era stata concepita l’architettura di Albertini (cioè per essere osservata dai finestrini delle auto in corsa), e vedere finalmente la silhouette della città attraverso una visione diagonale verso il quartiere Millefonti: la prospettiva indicata dal fronte principale del progetto di Cino Zucchi Architetti con la sua fresca architettura serigrafata. Una sovrascrittura che riesce a spostare la percezione (rapida quanto automatica) dell’edificio preesistente e a mutarne la scala. Spostare (seppur visivamente) un edificio, impostato su una planimetria assiale, per giunta retto da strutture in cemento armato importanti (calcolate all’epoca da Franco Levi) non è uno scherzo; soprattutto considerando che ripensare i nostri edifici con una prospettiva dinamica non è un business frequente, almeno quando si tratta di musei contemporanei.

Nulla a che vedere con la più nota «simmetria dinamica» (che proprio nella Torino fordista ebbe un discreto successo, almeno nelle biblioteche degli architetti). L’intervento riesce a spostare la percezione del Museo esistente perché ne ha ripensato completamente l’uso, pur scegliendo per l’esposizione un consolidato percorso ad anello, sviluppato tra il corpo «automobilistico» principale curvilineo a est e i due edifici perpendicolari sopraelevati. Il nuovo Museo aggiunge un corpo sul fronte ovest verso il quartiere (2.400 mq) e satura la cubatura esistente, assorbendo spazio per gli uffici con la copertura di una terrazza sul fronte dell’ampliamento, e soprattutto ricavandosi un cuore (una piazza coperta) chiudendo la corte giardino formata dai corpi sopraelevati. Proprio in questo spazio, ancora di più che all’esterno, l’impressione è quella di stare non dentro, ma di fronte a un’architettura nuova, forse per l’effetto dei pannelli di alluminio che rivestono le pareti della corte. Come fosse l’esterno di un’architettura, forse proprio per accentuare l’effetto di questa magica dissimulazione, a un certo punto un fronte «si sfoglia» (per accogliere in realtà delle scale mobili). Da questo punto l’architettura del Museo pare completamente riscritta, anche perché nella piazza coperta (dove s’intravedono le strutture storiche in calcestruzzo delle piramidi rovesce che reggono i padiglioni laterali) si arriva attraversando un ambiente che prima non esisteva e che oggi è la lobby d’ingresso al Museo dal fronte parkway. Questo un tempo era il deposito delle auto storiche (posizionato ora nell’ampliamento a ovest), nascosto da un muro di contenimento della ripa verde da cui il basamento arretrato dell’opera di Albertini sembrava sollevarsi. Il Museo si apre al fiume e alla collina che fanno da sfondo della parkway con una vetrata che dà continuità alla vista panoramica della terrazza superiore.

Zucchi ha riscritto quest’architettura simbolica della città dell’auto anche richiamandone al contrario alcuni dettagli: senza nulla togliere e nulla di troppo aggiungere. Se le vetrine ricavate nel fronte serigrafato sono in aggetto rispetto al filo del nuovo guscio, ma chiuse verso l’esterno da un vetro invece complanare, i serramenti storici del fronte parkway sono arretrati dal filo di facciata. In fondo il dialogo implica necessariamente delle posizioni in movimento.