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Briciole di pane

Un libro per riflettere (e possibilmente per agire): La vita al tempo del petrolio

I temi della mobilità e della sostenibilità in chiave medica, ambientale, geopolitica

Come i grandi dittatori del secolo scorso, ha inciso in maniera totalitaria sulla vita degli individui. Come i grandi dittatori del secolo scorso, ha provocato milioni di morti; ha scatenato conflitti e guerre tra Stati, talvolta dirette talvolta indirette; ha assunto le decisioni politiche fondamentali, orientando i sistemi economici. Ma, a differenza dei grandi dittatori del secolo scorso, il suo potere è ancora saldo, saldissimo: talmente pervasivo che non ce ne accorgiamo quasi più.

Questo protagonista assoluto della nostra contemporaneità si chiama petrolio, e a lui è dedicato un bel libro di più autori uscito a fine 2017: “La vita al tempo del petrolio - Oil lifestyle”, con prefazione del giornalista e scrittore Leonardo Coen. Senza troppi giri di parole, già il primo paragrafo del primo capitolo rivela che il tratto distintivo della nostra vita basata sul petrolio è l’insostenibilità: “Nell’accezione corrente, il concetto di insostenibilità del ricorso ai fossili è applicato, forse in modo riduttivo, solo all’ambiente e al suo sviluppo; mentre dovrebbe inscriversi in una connotazione più ampia che raffiguri la nostra stessa esistenza dominata dal petrolio. Il termine deve esplicitare in sé non solo la questione ambientale, intesa come salvaguardia del territorio e della salute umana, ma anche il ripudio della guerra che - ormai da decenni senza soluzione di continuità temporale - sta squassando il Medio Oriente. E ancora ne discende, come corollario imprescindibile, la questione etica per uno sviluppo perequato tra Paesi più ricchi e Paesi più deboli. E il confine tra questi mondi, con le relative società, passa, almeno nella presente fase storica, per il possesso e/o la capacità estrattiva di greggio”.

Può forse sorprendere che gli autori, in maggioranza, non siano né economisti né politologi, bensì medici. Tuttavia, a pensarci bene, non c’è nulla di sorprendente. L’osservatorio che ci certifica davvero la predetta nozione di ‘insostenibilità’, al di là di ogni artificio dialettico, è il microscopio dello specialista in pneumologia: dalla lesione epiteliale cagionata dallo smog, la scienza medica ricostruisce le sequele sull’apparato cardio-respiratorio. Con ciò che ne consegue in termini nosografici ed epidemiologici: circa 32.000 soggetti muoiono ogni anno in Italia per cause direttamente dipendenti dallo smog, dato compatibile con quelli della Lega Italiana Lotta al Tumore, secondo la quale ogni anno si registrano circa 41.000 nuovi casi di tumore del polmone; ma non è sbagliato ritenere che il calcolo dei ‘decessi per smog’ sia sottostimato perché la certificazione di morte raramente si basa sui dati anamnestici globali e considera solo le complicanze ultime del decesso, spesso senza tener conto del pregresso (malattia cronica ovvero riacutizzazioni di essa).

Grande spazio viene dato, com’è giusto, ai temi relativi alla mobilità. In effetti, anche se l’importanza dell’automobile come fattore inquinante primario viene forse enfatizzata nel dibattito generale, è e resta incontestabile che il traffico giochi un ruolo determinante. Pagine francamente inquietanti trattano del fallimento strategico delle marmitte catalitiche, introdotte ormai da un quarto di secolo; delle polveri sottili e ultrasottili, quelle più penetranti nell’albero respiratorio; dei cosiddetti “killer di cui non parla nessuno” - vale a dire i metalli pesanti: Platino (filtri post combustori); Tungsteno (freni, trasmissione); Molibdeno (impianto frenante); Cadmio (batterie, impianto frenante); Zinco (componentistica). Non mancano, poi, documentati cenni alla climatologia e alla degradazione complessiva dell’ambiente urbano.

Di tutt’altra impronta, ma di non minore severità, la seconda parte del volume, che tocca aspetti più squisitamente geopolitici. In una prospettiva storica di ampio raggio è incontestabile che industria prima, trasporti e mobilità poi, traggano dall’oil la principale fonte di energia. Né è possibile concepire trasporti e mobilità come appendice o mero fenomeno collaterale: al contrario, nella società cosiddetta post-industriale, dove il reddito non è più nel prodotto finito bensì nei modi di usarlo, la ricchezza risiede proprio negli scambi di merci materiali e immateriali e risulta quindi direttamente proporzionale alla possibilità di generare tali flussi sul territorio. Da cui la salda importanza strategica del greggio, delineata anche attraverso autentici personaggi-simbolo quali John Davison Rockefeller, Enrico Mattei, Vladimir Putin e altri.

Una via d’uscita il libro non la espone, né la indica. La lascia però intuire nei passaggi in cui sottolinea l’enorme bisogno di un approccio interdisciplinare, con il concorso di discipline che spaziano dalla fisica alla chimica, dall’ingegneria alla meteorologia, dalla sociologia all’urbanistica. È solo con un simile approccio, in definitiva, che si può tentare un superamento del modello “oil lifestyle”. Purché lo si voglia veramente.

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La vita al tempo del petrolio. Oil lifestyle, a cura di Aldo Ferrara e altri.

Agorà & co., Lugano, 2017, pp. 260.

Ulteriori informazioni sul sito ERGAM, European Research Group on Automotive Medecine.

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Davide Fornaro