Vietato sbagliare se si trasporta un'opera d'arte
La logistica dell'arte come terreno carico di potenzialità: voci da un recente convegno
Roma, 12 aprile 2016 - Logistica delle opere d’arte: un’attività poco conosciuta e forse poco popolare, per la quale parlare di “nicchia” è più che corretto. Eppure, le condizioni per assurgere a settore qualificante dell’economia italiana ci sarebbero tutte: nel Paese esistono circa 4.000 musei (molti statali, moltissimi diocesani) i quali, almeno una volta l’anno, organizzano eventi o prestano opere per mostre, anche all’estero. Posto che ogni evento espositivo ha una media di circa 100 opere, e che si tratta necessariamente di viaggi di andata e ritorno, il numero delle movimentazioni diventa davvero importante. Come diventa strategico il ruolo degli operatori che assicurano imballaggio, trasporto e installazione di “pezzi” così particolari.
Meritoria, quindi, l’iniziativa di International Propeller Club, Assologistica e altri nell’aver sponsorizzato, lo scorso 16 marzo a Milano, il Convegno “La logistica dell’arte, l’arte della logistica”. Un’occasione per richiamare lo stretto nesso tra arte e Italia, su cui non si riflette mai abbastanza, e per ascoltare il “vissuto” dei principali esperti: come Alvise di Canossa, presidente di Arteria, in passato responsabile, tanto per dirne una, del trasporto di 11 statue di Canova dall’Hermitage di San Pietroburgo fino alla fondazione Memmo di Roma (statue che non erano mai state spostate dal 1870).
Le procedure di movimentazione delle opere d’arte hanno una caratteristica peculiare: devono non solo minimizzare, ma escludere totalmente il rischio di errori. Trasportare un polittico tardogotico non è mai come trasportare un manufatto industriale pur sofisticatissimo, per la elementare ragione che questo è riproducibile, quello no. Altrettanto importante, per il logistico, è l’aspetto conservativo (stoccaggio, deposito, custodia); in proposito, per quanto possa apparire paradossale, le difficoltà maggiori le presenta l’arte contemporanea, nella quale l’artista spesso usa, volutamente, materiali poveri e deteriorabili.
Insomma: una bella sfida. Che si spera possa essere raccolta da un numero crescente di imprese, disposte a specializzarsi quanto a qualità, tecnica, affidabilità e organizzazione aziendale. Per ragionare in termini non più di “lavoro”, ma di... “capolavoro”.