Alterazione della targa, è comunque un reato

Roma, 9 novembre 2015 – Un vecchio trucco. Che però, oltre a non essere divertente, può recare danni e disagi a incolpevoli cittadini. Parliamo delle alterazioni alle targhe automobilistiche, fenomeno assai più diffuso di quanto si possa pensare. Un po’ di nastro adesivo nero, magari un pennarello indelebile, e il gioco è fatto: la C diventa una G, la F diventa una E.
Il furbetto di turno si illude di avere “gabbato” i mille occhi elettronici posizionati sulla rete viaria, urbana ed extraurbana. Risultato: un pensionato di Nuoro si vede recapitare a casa alcuni verbali d’infrazione per ingresso in ZTL a Macerata, una casalinga di Domodossola si scopre “beccata” decine di volte dall’inflessibile autovelox nei pressi di Gaeta. Ricorsi, richieste di audizione al Prefetto (purtroppo per il malcapitato, deve essere il Prefetto del luogo di accertamento della violazione, non proprio dietro l’angolo), indagini, fascicolo che passa alla Procura della Repubblica. Quest’ultima ci mette poco a ricostruire la manomissione della sequenza alfanumerica costituente la targa. Si finisce, immancabilmente, nel penale.
Al riguardo la quinta sezione penale della Corte di Cassazione, di recente, è stata chiamata a esaminare una vicenda piuttosto curiosa (sentenza n. 39804 del 24/6/2015). Un’ingenuità doppia, potremmo definirla: l’automobilista aveva “chiuso” con il nastro adesivo la lettera C, trasformandola in una O, senza sapere che, come noto a tutti gli addetti ai lavori, tra i caratteri alfabetici delle targhe sono espressamente escluse le lettere I, O, Q e U in quanto maggiormente suscettibili di confusione grafica.
Un carabiniere di passaggio, accortosi dell’anomalia, aveva allertato la prima pattuglia disponibile. Processo, condanna in primo e secondo grado, approdo in Cassazione. Abbastanza ingegnosa la tesi del difensore, basata sulla teoria del cosiddetto “falso grossolano”, su cui molto i giuristi hanno scritto: quando il falso è talmente poco plausibile da essere smascherato con facilità è anche innocuo, quindi, si ritiene, non lesivo dei valori tutelati dal diritto penale. Ma questa linea difensiva è stata respinta in blocco dalla Suprema Corte, secondo la quale un falso del genere è, comunque, “offensivo”: perché un qualsiasi cittadino, non solo un appartenente alle Forze dell’Ordine, può avere interesse ad annotare una targa, a individuare quello specifico veicolo; e perché, pure nell’ipotesi di rilevazione elettronica della sequenza alfanumerica non genuina, si apre in ogni caso una laboriosa attività di accertamento, gravante sugli apparati pubblici. Giustissimo, quindi, che Tribunale e Corte d’Appello abbiano ravvisato “il ricorrere della lesione alla pubblica fede”.
Insomma, comunque la si guardi: il reato c’è. Con tutte le conseguenze del caso.