E se la scatola nera fosse incostituzionale?
C'è chi vede violato il diritto di difesa. Si pronuncerà la Consulta

Mescolando inglese e latino, potremmo dire che la black box è sub judice. In realtà, giochi linguistici a parte, la vicenda è seria anche sul piano dei principi: operatori, comparti imprenditoriali e studiosi di svariate discipline la stanno seguendo con notevole interesse.
Come noto, dopo la riforma del 2017 il Codice delle assicurazioni private (articolo 145-bis) stabilisce che “Quando uno dei veicoli coinvolti in un incidente risulta dotato di un dispositivo elettronico che presenta le caratteristiche tecniche e funzionali stabilite ai sensi dell’articolo 132-ter, comma 1, lettere b) e c) (...), le risultanze del dispositivo formano piena prova, nei procedimenti civili, dei fatti a cui esse si riferiscono, salvo che la parte contro la quale sono state prodotte dimostri il mancato funzionamento o la manomissione del predetto dispositivo”. è, appunto, l’istituzionalizzazione della scatola nera: trionfo dell’elettronica e fine delle frodi, secondo le meritorie intenzioni di quell’entità un po’ vaga chiamata “Legislatore”. Sotto il rassicurante presidio della tecnologia, impossibile simulare un crash inesistente o cambiare la data di uno scontro realmente verificatosi.
Qualche perplessità, tuttavia, è affiorata: la “prova” di un fatto dovrebbe emergere nel processo, in un leale confronto ad armi pari tra le parti; dare valore di prova legale – vincolante per il giudice, quindi – a un software totalmente fuori dalla portata del cittadino automobilista non è operazione da farsi a cuor leggero; tant’è vero che ci si chiede come diamine faccia il cittadino automobilista a dimostrare... “il mancato funzionamento o la manomissione del predetto dispositivo”. Il problema, insomma, non è tanto la tecnologia quanto la fiducia accordata, a priori, al suo perfetto e impeccabile funzionamento. Alcuni mesi or sono, un Giudice di pace ha dato voce a tutte queste perplessità e sollevato questione di costituzionalità; e ora un intero settore economico è in attesa del verdetto della Corte costituzionale.
I commentatori più attenti intravedono, in questa vicenda, delle analogie con la questione degli autovelox, esaminata dalla Consulta nel 2015. Anche allora, infatti, il “nervo scoperto” stava nel fatto che un dispositivo elettronico, in assenza di particolari cautele, potesse, solo perché omologato, incidere direttamente – e pesantemente, se pensiamo a quanto è disturbante una patente sospesa – sulla situazione giuridica del singolo. Con la sentenza 113/2015, di cui parlarono giornali e telegiornali, la Corte costituzionale finì per imporre, a garanzia di tutti, la taratura periodica dell’apparecchio rilevatore di velocità; in particolare, il Giudice delle Leggi osservò che “i fenomeni di obsolescenza e deterioramento possono pregiudicare non solo l’affidabilità delle apparecchiature, ma anche la fede pubblica che si ripone in un settore di significativa rilevanza sociale, quale quello della sicurezza stradale”.
Per la scatola nera verrà svolto un ragionamento simile? Nessuno può dirlo, e la curiosità in giro è parecchia.