La Svizzera stoppa metà tir
Le merci sul treno o niente
Berna, 19 giugno 2011 - Dieci anni abbondanti di lavori, quindici miliardi di euro investiti finora, la Svizzera si prepara a cambiare la carta geografica dei trasporti nel cuore dell'Europa. Il nuovo tunnel del Gottardo, ben 57 chilometri di binari in galleria a una profondità che arriva a 1800 metri sotto la roccia, rappresenta una svolta ben oltre la dimensione ingegneristica dell'opera. Destinata a diventare comunque la più lunga galleria ferroviaria al mondo. Il sistema di trafori che permetterà nel 2017 di scavalcare le Alpi, attraversandole come fossero di burro è parte di un nuovo modello di sviluppo che la Confederazione ha abbracciato dopo un lungo periodo in cui gli investimenti privilegiavano le infrastrutture stradali. Ora basta. Berna ha scelto: per il bene degli abitanti di queste valli basta camion. Nei prossimi otto anni verrà ridotto della metà il numero dei Tir che attraversano il territorio svizzero. Dall'attuale milione e 200mila ad appena 650mila. «Il trasporto su gomma ha pesanti ricadute sull'ambiente e sulla salute degli svizzeri, così abbiamo deciso di "internalizzare" questi costi che finiscono per ricadere sull'intera comunità». A parlare è Fabio Pedrina, parlamentare ticinese di lungo corso, uno degli ispiratori del no alla "gomma selvaggia". Lo incontriamo in un ristorante nel cuore di Berna, a poche ore dalla votazione con cui la Camera ha deciso l'uscita del Paese dal nucleare. «Quello che abbiamo imboccato è un nuovo modello di sviluppo: spostare dalla strada alla ferrovia il maggior numero di merci possibile. È scritto nella costituzione e il popolo si è più volte espresso in questo senso». Da queste parti quando pronunciano la parola "popolo" lo fanno con una naturalezza che per gli italiani è inimmaginabile. Ne parlano anche i manager, oltre ai politici: lo ha deciso il popolo. Ed è così. Nella repubblica federale più antica d'Europa la democrazia diretta funziona con i referendum, che si svolgono spesso, molto spesso, i cittadini sono chiamati a esprimere il loro parere. Che diventa legge. Di quelle scritte col fuoco. E così è perla politica dei trasporti che si fonde con quella dell'ambiente. La tabella di marcia è già fissata come spiega Cesare Brand, capo degli affari internazionali delle Ferrovie federali svizzere, un omone di quasi due metri, che parla un italiano scolastico ma con voce suadente e leggera. «Entro la fine del 2016, al massimo i primi giorni del 2017 i treni del nuovo traforo entreranno nell'orario ferroviario. Si aprirà così un nuovo asse che attraverserà le Alpi da Sud a Nord. Se ora per andare da Milano a Zurigo occorrono 4 ore e 10 minuti, fra sei anni ne basteranno 2 e 40». Questo per i passeggeri. Per le merci, tempi a parte, si aprirà una vera autostrada su ferro capace di portarne da 12 a 40 milioni di tonnellate l'anno. Passando sotto le Alpi. E così sarà. La Svizzera crede in questa svolta verde. Basta Tir, basta inquinamento. Basta anidride carbonica. La decisione è presa, entro il 2019 i camion autorizzati a via ; are per le strette valli elvetiche saranno la metà rispetto a oggi. E col contingentamento scatterà la Borsa dei transiti: col numero di autorizzazioni limitate a 650mila potrebbe diventare carissimo viaggiare da Ponte Chiasso a Zurigo. A meno di non muoversi su rotaia. Nel nuovo sistema di tunnel capaci di ridurre a zero le pendenze. Ed è quel che Berna, la politica svizzera e i vertici della Ferrovie federali si aspettano. C'è un accordo, firmato nel 1999 dall'allora ministro dei Trasporti Tiziano Treu che impegna l'Italia a collegare il nostro sistema dei trasporti con la nuova direttrice del Gottardo. «Basterebbe poco, il raddoppio della linea che porta da Milano a Lugano», ci ha confessato un ingegnere di Alptransit, l'organismo che ha progettato e sta realizzando l'intera infrastruttura ferroviaria, «e potreste arrivare dal capoluogo della Lombardia a Parigi in meno di 5 ore. I soldi? Un'inezia se paragonati a quelli che servono per la Torino-Lione». Dunque la svolta verde di Berna non affonda le radici nella liturgia ambientalista che vorrebbe un ritorno a un passato bucolico impossibile da richiamare in vita. Oltre ai costi nascosti, l'inquinamento, gli incidenti, i costi legati alle code e ai tempi di percorrenza interminabili, il traffico si deve spostare dalla gomma alla rotaia perché conviene. La contabilità del nuovo modello di sviluppo che sta nascendo nel cuore d'Europa è in attivo. Chissà se faranno i conti anche a Roma.