Mobilità efficiente, il primo a guadagnarci è l'ambiente
Nuovo Codice della Strada e "Green Act" dovranno condividere la medesima vision
Roma, 24 settembre 2015 - Cominciare a porre al centro del discorso non tanto le “infrastrutture” o i “trasporti”, quanto la “mobilità”. Questo, in sintesi, l’approccio strategico indicato dal ministro Galletti rispetto all’immane sfida che coinvolge il nostro futuro: la riprogettazione di città, territori, stili di vita. L’occasione è stata il Convegno istituzionale “+PIL, +LAVORO, -CO2” di apertura dell’evento “Citytech”, tenutosi a Roma lo scorso 17 settembre.
La mobilità sostenibile, secondo il ministro, è “un settore su cui l’Italia deve puntare con la massima determinazione. Perché riguarda da vicino la salute dei cittadini e contribuisce al contrasto ai cambiamenti climatici, su cui tutta l’Europa è profondamente impegnata a pochi mesi dalla decisiva conferenza di Parigi”. Ma la cosa non va vista in senso negativo, alla stregua di un vincolo opprimente. Può costituire, anzi, “un grande veicolo di sviluppo, di crescita di una società. Cambia le città e migliora la qualità della vita dei cittadini in modo evidente: meno traffico e inquinamento, spostamenti più rapidi, dunque più produttività e anche più tempo libero. Oltre, ovviamente, ai risparmi economici”.
Da qui, un auspicio riguardante il metodo ma anche il merito: arrivare, quanto prima, a valutare le politiche pubbliche, nazionali e locali, non per i kilometri di infrastruttura costruiti o ammodernati, e nemmeno per il numero di mezzi di trasporto pubblico circolanti (su ferro o su gomma), ma in base alle effettive potenzialità di spostamento offerte ai cittadini, e relativi livelli di qualità. La mobilità, appunto. Che è, necessariamente, un “sistema”: da valutare, sempre, in un’ottica d’insieme (le pubblicazioni specialistiche sovrabbondano di esempi di miglioramenti spettacolari di una singola tratta, o di una singola modalità trasportistica, tradottisi alla fine nella congestione di tutte le aree circostanti, e quindi nel peggioramento complessivo della mobilità).
Che il raggiungimento di un obiettivo del genere, un vero e proprio cambiamento di paradigma, postuli una svolta quanto a mentalità e scelte amministrative è conclusione fin troppo ovvia.
Ma esso richiede anche, e forse su ciò non si riflette abbastanza, profondissimi mutamenti nella legislazione. Lo hanno evidenziato, nel dibattito conclusivo, i competenti Assessori delle principali città italiane. Porre al centro di una delibera (su spazi pubblici, parcheggi, tramvie, orari degli esercizi, viabilità, controlli e chi più ne ha più ne metta) il nuovo “valore” del miglioramento della mobilità è complicatissimo, e chi redige la motivazione della delibera deve avere doti prossime a quelle di un “mago”. Perché l’ordinamento giuridico italiano vigente, per oggettive ragioni storico-politiche, è tutto “impregnato” di altri valori: tutela della circolazione automobilistica privata, intangibilità di certe aree, protezione di alcune forme di uso professionale dei veicoli, vincoli di svariata natura, impossibilità di procedere a sperimentazioni tecnologiche se non previa legge e decreto ministeriale attuativo, eccetera. Basta un errore, o una sottovalutazione di queste linee di tensione presenti nella normativa, e il provvedimento risulta viziato da eccesso di potere. Che non è un astratto bizantinismo fonte di svago malsano per i giuristi: equivale a dire, in pratica, che il TAR annulla tutto quanto, vanificando gli sforzi programmatori di un’Amministrazione e obbligando a ricominciare daccapo.
Insomma: la “rivoluzione” consistente nel dare valenza strategica al concetto di mobilità (sostenibile) richiede, anche, un ordinamento giuridico non ostile. Per questo, vanno ripensate le linee portanti dell’ordinamento stesso. Al riguardo, “Green Act” e riforma del Codice della Strada dovrebbero procedere all’unisono. In maniera sinergica e coerente, e senza troppi scrupoli nell’abrogazione di norme preesistenti non più al passo con i tempi.