Mobilità: il Collegato ambientale, le bici, l'Europa
Interventi anche a fini INAIL. Per "abituare" l'Italia alla mobilità ciclistica
Roma, 10 febbraio 2016 - Importante sotto molti aspetti (green public procurement, rifiuti, certificazioni di qualità ecologica e tanto altro ancora), il cosiddetto “Collegato ambientale” alla Legge di Stabilità 2016 – entrato in vigore il 2 febbraio scorso – non dimentica il tema della mobilità. E visto che l’obiettivo è quello di una mobilità sempre più “green”, il discorso può tranquillamente lasciare il campo a un altro sostantivo femminile, coniato da poco ma già presente in qualche dizionario: il sostantivo “ciclabilità”.
In effetti, le “disposizioni per incentivare la mobilità sostenibile” di cui all’articolo 5 della legge in questione (n. 221 del 28 dicembre 2015) hanno a che fare per lo più con le pedalate. Vengono previste risorse per il finanziamento di progetti comprendenti iniziative di piedibus, car-pooling, car-sharing, bike-pooling e bike-sharing, nonché la realizzazione di percorsi protetti per spostamenti casa-scuola a piedi o in bicicletta.
Viene assegnato, alla Regione Emilia-Romagna, un contributo di 5 milioni di Euro per recuperare e riqualificare a uso ciclopedonale, nell’ambito del corridoio europeo "Eurovelo 7", il vecchio tracciato ferroviario dismesso Bologna-Verona.
Si comincia a parlare, per gli istituti di ogni ordine e grado, di mobility manager scolastico, figura avente il compito non solo di coordinarsi con le strutture comunali e le aziende di trasporto pubblico locale, ma di favorire l’utilizzo della bicicletta. Soprattutto: si modifica esplicitamente la disciplina dell’infortunio in itinere, riconoscendo la copertura assicurativa INAIL per chi si reca al lavoro in bicicletta. Anche questo, a ben guardare, è un modo per eliminare ostacoli all’utilizzo di tale mezzo di trasporto.
Si tratta complessivamente di previsioni appropriate, in una prospettiva di “sostenibilità urbana” e relativa qualità della vita: prospettiva rispetto alla quale i temi della mobilità giocano, e giocheranno, un ruolo decisivo. Lo stesso ministro Delrio, nei suoi ultimi interventi, ha rilanciato la questione, insistendo sulla “politica della ciclabilità” come parte fondamentale delle strategie per la mobilità (audizione alla Commissione ambiente della Camera del 27 gennaio 2016).
Anche perché il gap che il nostro Paese si trova ad affrontare è, obiettivamente, non piccolo.
Per farci un’idea, possiamo confrontare due pubblicazioni recentissime: da un lato, lo studio “Friburgo città sostenibile” apparso nel numero di gennaio 2016 di “Ambiente e sviluppo”; dall’altro, il nono Rapporto “Mobilità sostenibile in Italia: indagine sulle principali 50 città”, elaborato a dicembre 2015 da Euromobility (con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente).
A Friburgo in Brisgovia – ovvero Freiburg im Breisgau – il 70% degli spostamenti urbani è effettuato a piedi, in bicicletta o con il trasporto pubblico. In Italia, con criterio d’indagine invertito, si misura la percentuale degli spostamenti privati motorizzati (auto e moto) sul totale degli spostamenti: otteniamo oltre il 60% per la maggioranza delle città italiane, con punte dell’82% (Monza) e addirittura del 95% (Bergamo).
D’altronde, varia sensibilmente l’indice di motorizzazione, cioè il numero di autoveicoli ogni mille abitanti. Media italiana: 579. Indice di Friburgo: 400. Nel solo quartiere “Vauban”, così chiamato dal vecchio nome della caserma francese d’occupazione, risanato negli anni 1995-2006 con un intervento esplicitamente nel segno della “sostenibilità” e collegato al centro cittadino da linee tramviarie, l’indice è 150. Inconcepibile, nel contesto italiano.
Se guardiamo ai metri di pista ciclabile per abitante, il dato di Friburgo è 1,73. Reggio Emilia, la città meglio piazzata nel ranking Euromobility per questo specifico indicatore, arriva a stento a 1,2; la seconda classificata, Modena, può vantare 0,85; Milano, Torino, Firenze e Roma sono ben al di sotto di 0,2.
D’altronde, come auspica da tempo la FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicicletta), servirebbe pure affinare le indagini andando oltre il dato quantitativo. Bisognerebbe cioè saper selezionare, a fini statistici, solo i chilometri di corsie ciclabili realmente “utilizzabili”, giacché le piste interne ai parchi, quelle che vanno a finire contro un muro o si interrompono nelle intersezioni stradali, tutte quelle, insomma, che non collegano punti rilevanti di itinerari aventi un senso origine-destinazione, non sono significative a fini di mobilità (potranno esserlo, al massimo, a fini di diporto). L’impressione comunque è che, ove si potessero elaborare indicatori sulla “utilizzabilità” dei percorsi ciclabili, la valutazione delle città italiane risulterebbe ancor meno lusinghiera: basti pensare agli oltre 4.600 parcheggi per ciclisti disponibili a Friburgo, città nella quale, in media, ogni abitante usa la bici almeno una volta al giorno.
Per concludere, i provvedimenti sulla “mobilità dolce” assunti dal Collegato ambientale, certamente condivisibili, sono, essi stessi, un monito relativamente a quanta strada (o meglio: quanta... “pista”) ci sia ancora da fare.