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Briciole di pane

Alla ricerca dell'anello di congiunzione tra l'Uomo e la Macchina

Software, bytes e algoritmi garantiscono la sicurezza delle driverless car

Roma, 6 dicembre 2016 - Fate attenzione, cari automobilisti, qualcuno vi osserva. Vi studia. Siete continuamente monitorati. Orwellianamente controllati, forse. E non solo da Autovelox, Telelaser, Tutor & compagnia bella. Da qualche parte, infatti, abbiamo letto che una ricercatrice della Nissan Design Center, nella Silicon Valley, analizza i comportamenti dei conducenti per poi traslarli, in qualche maniera informatica, nel software delle vetture a guida autonoma. La ricerca antropologica è volta a comprendere, ancora di più, gli atteggiamenti di chi è al volante.

Darwinianamente parlando, si vuole capire qual è l’anello di congiunzione (mancante) tra l’Uomo e la Macchina. Non solo algoritmi, quindi. L’obiettivo è fare in modo che la driverless car riesca a comprendere, per quanto possibile, gli atteggiamenti degli umanoidi motorizzati. Mica robetta da poco. Perché la robot-machine dovrebbe interpretare le attitudini di chi utilizza la “quattro ruote”, la moto e la bicicletta. E, naturalmente, fare bene attenzione ai pedoni. Pensate a quanti terabytes occorrono per fare in modo che viaggi in condizioni ottimali. La car deve comprendere, in un nanosecondo, dove si trova e chi le gironzola attorno. Un inarrestabile flusso di dati ne governa e ottimizza il suo transitare nelle arterie delle cities.

La ricerca comporta un impegno da fare drizzare i capelli perché, non dimentichiamolo, le persone si esprimono anche con la gestualità, il linguaggio non verbale. Uno sguardo tra automobilista-pedone, automobilista-motocicilista, automobilista-ciclista, può equivalere a un: “Prosegui!”, “Fermati!”, “Non ti azzardare a passare!”, “Togliti di mezzo!”. E poi, a seconda della nazionalità, spesso addirittura da regione e regione, cambia lo “stile” di guida. Magari, ipotizziamo, una macchina “tarata” per le roads del Belpaese si troverebbe in grande difficoltà nel traffico di Pechino o di New York.

Comunque sia, quest’indagine merita di essere seguita con interesse. Se non altro perché oltre un milione di persone, ogni anno, muoiono sulle arterie del mondo. Hardware, software, sensori e tutto l’ambaradan offerto dall’informatica (e non solo) possono contribuire a ridurre quest’ecatombe. L’evoluzione della tecnologia e il superamento delle questioni legislative, legate all’utilizzo delle driverless car, terminato il periodo di sperimentazione, potranno portare al loro impiego di massa. Nel frattempo, a nostro avviso, già installare la “scatola nera” sui veicoli, come per gli aerei, rappresenterebbe un ulteriore deterrente per chi si diletta nella guida “frizzantina”. Sapere di essere continuamente monitorati può portare a essere più giudiziosi. Almeno, si spera.
 

Carlo Argeni