"Dare i numeri" sulla sicurezza stradale: il dibattito oltralpe
Anche in Francia il problema di dati poco scientifici, o peggio strumentalizzabili
Roma, 21 settembre 2015 – Crediamo di far cosa gradita ai lettori di “Le Strade dell’Informazione” proponendo un articolo apparso il mese scorso (il 14 agosto 2015, per la precisione) sul sito LePoint.fr a firma di Jacques Chevalier. Il contenuto è condivisibilissimo e, francamente, qualsiasi osservazione aggiuntiva risulterebbe stonata. In più, la lingua francese offre un impareggiabile mix di brillantezza, ironia e serietà.
È possibile leggere l'articolo in lingua originale cliccando qui. Di seguito proponiamo invece la traduzione dell'articolo in italiano.
Sicurezza stradale: voci insulse dal mondo delle fiabe
L’indicatore mensile dell’incidentalità viene commentato come l’andamento del petrolio o della Borsa. Tutto normale?
Un tempo, ci trovavamo davanti a indicatori e analisi d’incidentalità che si basavano su almeno un semestre di osservazione. E bisognava comunque attendere diverse settimane prima di azzardare delle conclusioni comparative: dovendosi valutare se il Paese conta i suoi morti “a 30 giorni”, sull’esempio della Francia, o “a 10 giorni”, come fanno altri. Come si può ben vedere, la statistica ha le sue variabili che fanno sì che il “ferito” di un dato giorno possa trasformarsi, purtroppo, nel “morto” del giorno dopo. Tutto dipende dal metodo con cui si conta.
Oggi, la sicurezza stradale tende ad abbandonarsi a questo gioco un po’ morboso, con una facilità direttamente proporzionale alla mania dei “commenti a caldo”. Non si aspetta nemmeno più che il ferito muoia, si contabilizza “sul campo”. Un tale approccio lascia intendere che le vere cifre dell’incidentalità, quelle che assumono la giusta e oggettiva distanza rispetto ai fatti, sono probabilmente più preoccupanti di quelle date in pasto a mass-media impazienti (di solito) nei quindici giorni successivi alla fine del mese. E, proprio come se fosse l’andamento di una merce o di un titolo azionario, ci si mette a disegnare la curva di mortalità stradale, con i suoi alti e i suoi bassi.
Ieri, al Ministero dell’Interno, il delegato interministeriale alla sicurezza stradale aveva tutto il diritto di mostrarsi contrariato e corrucciato. I suoi dati sono catastrofici. Ma, da bravo tecnocrate che ha impegnato uffici e reparti ad approfondire le ragioni di un simile disastro, è in possesso di spiegazioni. Certo, il numero di uccisi sulle strade francesi è aumentato del 19,2% in luglio rispetto allo stesso mese del 2014, ma, consoliamoci, il medesimo fenomeno colpisce anche l’Unione Europea.
“I dati non sono buoni, siamo chiamati a uno scatto”, dichiara Emmanuel Barbe, il Signor-Sicurezza-Stradale del governo. Scatto non da poco, visto che, secondo l’Osservatorio Nazionale Interministeriale sulla Sicurezza Stradale, da lui coordinato, il mese scorso hanno trovato la morte in 360, vale a dire 58 in più rispetto al medesimo periodo del 2014.
L’aumento non è sintomatico, perché si stacca abnormemente, con un ordine di grandezza di quasi il 20% sul solo mese di luglio, dal +0,8% registrato nel primo semestre 2015 rispetto all’analogo periodo di riferimento del 2014. Ma quest’ultimo rappresentava, già di per sé, un poco soddisfacente termine di paragone, perché esso veniva a interrompere, per la prima volta dopo dodici anni, l’abbassamento continuo della mortalità (con un +3,5%). Emmanuel Barbe, però, si è soprattutto impegnato nel puntare il dito accusatore contro le fasce di popolazione a rischio, quelle che, nella mortalità stradale, forniscono il contingente più corposo.
In primo luogo, ci sono i motociclisti, che si sono macchiati della colpa di far uscire dal garage, visto il bel tempo, i loro veicoli. Conclusione: tra le loro file si annovera quasi un terzo del totale dei morti, mentre gli stessi si erano ben guardati dal tenere un comportamento analogo l’anno precedente, in ragione del meteo piovoso. Arrivata a più del 57%, la mortalità su due ruote dovrebbe imporre una soluzione lapalissiana: aggiungere altre due ruote e una carrozzeria a ogni moto. Stupisce che Emmanuel Barbe non ci abbia pensato prima.
E bisogna altresì attrezzarsi a intervenire sulle condizioni meteo, atteso che, come si è avuto modo di constatare, il tempo più clemente ha indotto a percorrere più chilometri. Il mese di luglio 2014 è stato, in Francia, il più piovoso degli ultimi cinquant’anni, mentre il luglio 2015 è stato eccezionalmente caldo e asciutto, con episodi di caldo abnorme e un deficit pluviometrico del 40%, stando a Météo-France.
Gli spostamenti su due ruote a motore, etichettati dal governo come “altamente meteo-sensibili”, dovrebbero, a rigor di logica, essere vietati nei giorni di bel tempo. Tenere le motociclette in garage è, in fondo, il miglior modo per ridurre l’incidentalità, nelle more dell’adozione di un provvedimento che abbia il coraggio di vietarle radicalmente, visto che si sono dimostrate infinitamente più pericolose rispetto agli altri veicoli, coinvolgendo una popolazione di vittime assai più giovane.
Ma la Sicurezza Stradale non ha troppa paura dei paradossi, atteso che l’altra categoria maggiormente a rischio incidenti, a luglio 2015, si è rivelata essere quella degli ultrasessantacinquenni. Anche questi ultimi dovrebbero restare chiusi in garage – diciamo più correttamente in casa – poiché, moto o auto non importa, hanno dato il maggior contributo nella crescita delle statistiche degli incidenti, con un balzo del 64%. Balzo insolito; peraltro, con un numero totale di 82 decessi, sembra che lo scaglione non sia poi così rappresentativo, secondo la norma che adottano gli istituti di sondaggio.
Insomma: pubblicando questo barometro mensile dell’incidentalità, ci si espone al rischio di valutazioni aberranti e di una distorsione interpretativa dei dati, tutt’altro che scientifica. Il fatto è che, mentre gli esperti di statistica sanno maneggiare i numeri, i politici e i moralizzatori d’ogni risma si appropriano di qualsiasi variazione di una curva sul grafico per impartire le loro conclusioni definitive. E supportare un ragionamento inutile con una pseudobontà da paese delle favole. Vogliono tutti il nostro bene, anche contro la nostra volontà. Un tempo, almeno, ci si accontentava di giudicare come minimo un semestre, per correggere le cosiddette variabili stagionali (...).