Incidenti stradali, non solo rallentamenti alla circolazione
I costi, diretti e indiretti, delle interruzioni al traffico
Roma, 15 marzo 2013 - Un incidente stradale grave è, per prima cosa, un dramma umano. A guardare bene, è anche un fallimento della mobilità. Ogni incidente, infatti, comporta code e rallentamenti, se non vere e proprie chiusure dell’arteria, estendendo le proprie conseguenze negative a tutti gli “abitanti” di quella “città in movimento” che è la strada. È un aspetto, questo, che sfugge alle statistiche. Gli studi, pure quelli più pregevoli, sui costi sociali dell’incidentalità (ACI 2008, Ministero delle Infrastrutture e Trasporti 2012) valutano i cosiddetti “costi umani” (costo della vita umana, comprensivo di danni morali e biologici; costi sanitari, ecc.) nonché gli annessi “costi generali” (danni alle cose, costi amministrativi e processuali).
Già così, detto per inciso, in Italia si arriva alla cifra di 28,5 miliardi di euro in un solo anno. Ma non considerano affatto i “costi” legati all’interruzione della circolazione. Non deve stupire: sono stime difficilissime da fare. Specialmente in ambito urbano. Occorrerebbe, prima di tutto, disporre di dati in base ai quali quantificare, sia pure approssimativamente, la “coda media” generata da un incidente con i tempi di superamento della stessa. Solo un Ente proprietario della strada particolarmente attento alla tematica, e destinatario della totalità delle informazioni relative a ciascun sinistro, potrebbe, forse, elaborare un’architettura di dati attendibile.
Nondimeno, stando su un piano puramente teorico, questa diversa ottica con cui guardare agli incidenti (cioè, come altrettante compromissioni della viabilità) potrebbe portare a riflessioni interessanti. Si prenda la questione dei costi minimi dell’autotrasporto: ossia quella soglia, indicata per legge, sotto cui il corrispettivo dovuto al vettore non può scendere, per una presunzione di incompatibilità con il rispetto dei parametri di sicurezza normativamente previsti. Questione tormentata, tanto che, come si è appreso pochi giorni or sono, dovrà occuparsene la Corte Costituzionale. Due principi sembrano irrimediabilmente contrapporsi: la libera concorrenza, da un lato; la tutela dell’incolumità, dall’altro. Ma non è detto che debba essere per forza così. Non è detto che non si possa trovare, come costruzione teorica, un livello concettuale diverso, in grado di conciliare gli opposti. Il principio, per esempio, della mobilità. O, in altri termini, dell’ottimale fruibilità dell’infrastruttura viaria. Alla realizzazione di tale principio potrebbero (e dovrebbero) parimenti contribuire tanto un mercato dell’autotrasporto veramente concorrenziale - un mercato, insomma, che per le sue stesse dinamiche sappia gradualmente portare verso l’auspicato riequilibrio modale, liberando le strade da una quota di trasporti tecnicamente ed economicamente inefficienti - quanto la previsione, “d’autorità”, di misure che, come accennato, non servono solo a tutelare la sicurezza riducendo i sinistri, ma sono, per questo stesso motivo, funzionali alla fluidità della circolazione e dunque, in ultima analisi, all’effettuazione del trasporto.