Politiche di sicurezza stradale: una riflessione
Repressioni indiscriminate? Meglio un approccio scientifico

Roma, 22 luglio 2016 – Il cosiddetto “giustizialismo”, quando praticato da Procure e Tribunali, è un atteggiamento definibile in molti modi, a seconda delle opinioni o propensioni soggettive: barbaro, necessitato, deprecabile, dolorosamente efficace... ma è, comunque, qualcosa di assai serio.
Quando invece è un apparato amministrativo a voler adottare prassi “giustizialiste”, l’effetto sfiora il grottesco; quasi sempre, interviene un TAR a rimettere in ordine le cose, ricordando alla Pubblica Amministrazione che essa è chiamata ad applicare alla lettera la legge, cioè ad adottare determinati provvedimenti se, e solo se, risultano esattamente verificati tutti i presupposti previsti dalla norma – e null’altro.
Una piccola vicenda abruzzese vale a spiegare la questione più di tante parole. Un ufficio provinciale della Motorizzazione aveva disposto ai sensi dell’art. 128 del Codice della Strada, nei confronti di Tizio, la revisione della patente di guida mediante nuovo esame di idoneità psicofisica. E questo perché? Perché Tizio era stato precedentemente controllato dai Carabinieri – e quindi segnalato – nei pressi di un rave party assieme a dei tossicodipendenti, senza però che a suo carico fosse emerso nulla, né infrazioni, né irregolarità né, meno che mai, situazioni personali illecite collegate a detenzione o spaccio di stupefacenti.
L’art. 128 del Codice della Strada è una norma oltremodo importante, per le sue implicazioni mediche oltre che sociali: prevede che la Motorizzazione possa disporre un provvedimento di quel tipo “qualora sorgano dubbi sulla persistenza dei requisiti fisici e psichici” necessari per la patente di guida. Il TAR dell’Abruzzo (sentenza 12 maggio 2016 n. 304) non ha potuto far altro che cancellare il provvedimento della Motorizzazione; ricordando a quest’ultima, con una motivazione che sa di “bacchettata”, che i dubbi sulla persistenza di quei requisiti non sono logicamente ricavabili dalle presunte cattive compagnie del titolare della patente.
Questo, dal punto di vista della correttezza amministrativa e delle garanzie fondamentali del cittadino. Da un punto di vista più tecnico e settoriale – il perseguimento di obiettivi di sicurezza stradale – potremmo azzardare una riflessione in più: ricordando, magari, che il voler “colpire nel mucchio” è un’operazione, oltre che giuridicamente impropria, concettualmente sbagliata. Serve il bisturi, non il machete. Occorre, insomma, essere selettivi: indagare con approccio scientifico le vere cause dell’incidentalità – cause tecniche, comportamentali, mediche, psicologiche – e, dopo l’indagine, agire sulle stesse (anche in via legislativa).
La tendenza a voler “colpire nel mucchio”, purtroppo, sembra permeare le politiche di sicurezza stradale degli ultimi anni. Da essa non è immune nemmeno la legge sull’omicidio stradale: ormai, sono in molti ad ammetterlo apertamente.