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Briciole di pane

Stop Ue al turismo per le patenti

Corte di giustizia. Legittimo il rifiuto di riconoscere una licenza presa all'estero da chi non riusciva a ottenerla in patria

Lussemburgo, 2 marzo 2012 – II "turismo delle patenti" è lecito. Ma gli Stati Ue possono combatterlo indagando su dove risiede realmente il cittadino che lo sfrutta, per conseguire l'abilitazione alla guida quando questa gli viene negata nel proprio Paese. È la chiave data ieri dalla Corte di giustizia Ue su un problema diventato sempre più frequente negli ultimi anni, perché molte persone hanno imparato a infilarsi nelle pieghe della libertà di circolazione garantita dai Trattati Ue.
Con la sentenza di ieri (che ha chiuso la causa C-467/10), i giudici di Lussemburgo si sono espressi su uno dei tanti casi di cittadini tedeschi giudicati inidonei (per mancanza dei requisiti, tecnici, fisici o - come in questa vicenda - morali) nel proprio Paese e "migrati" nella Repubblica Ceca, dove hanno regolarmente conseguito la patente. La "migrazione" è resa possibile dalla direttiva europea 2000/56, che consente ai cittadini comunitari di richiedere la licenza di guida in un altro Paese Ue anche senza trasferirvi la residenza anagrafica basta dichiarare di avervi la residenza normale, cioè - in sintesi - di dimorarvi abitualmente per almeno 185 giorni l'anno (direttiva 83/183, articolo 6). La patente estera così ottenuta vale a tutti gli effetti anche in patria, quindi non va convertita: se si vuole, la si può far riconoscere dalla propria autorità nazionale (cioè farla inserire negli archivi per rendere possibile anche il rinnovo senza tornare all'estero).
Negli anni, la Germania ha negato il riconoscimento in molti casi di "rimpatrio" dalla Repubblica Ceca. Un rifiuto che - ha confermato ieri la Corte - è illegittimo: il riconoscimento di una patente rilasciata da un altro Stato membro è un atto dovuto e non soggetto a formalità. In particolare, in sede di riconoscimento non si deve verificare se lo Stato che ha rilasciato il documento abbia rispettato tutte le condizioni previste dalle direttive europee per l'abilitazione alla guida.
Non solo: la Corte conferma pure la sua interpretazione restrittiva, secondo la quale in casi del genere non sono ravvisabili ragioni di sicurezza stradale. Tali ragioni consentirebbero di derogare all'obbligo di riconoscimento, applicando eventuali disposizioni nazionali meno permissive.
Ma, in questo quadro così favorevole al "turismo delle patenti", la Corte individua uno spiraglio che la normativa europea lascia. Quest'ultima, infatti, non vieta a uno Stato di rifiutare il riconoscimento quando riesce incontestabilmente a dimostrare che l'interessato non aveva il requisito della residenza normale. E, nella vicenda in questione, le autorità tedesche (allenate dalla frequenza di "migrazioni" verso la Repubblica Ceca) avevano fornito le prove che quelle ceche non avevano accertato dove risiedesse l'interessato e avevano dimostrato che egli si trovava in Germania in alcune occasioni. Di qui la legittimità del rifiuto a riconoscere la patente ceca.
La sentenza stabilisce un principio che può valere pure per tanti italiani. Infatti, negli ultimi anni si sono moltiplicati i casi in cui non si può avere la patente: gli esami teorici sono diventati più severi (si fanno in aule informatiche "blindate"), il divieto di candidarsi per una nuova licenza dopo aver subìto una revoca è stato esteso da uno a due anni (talvolta addirittura a tre) ed è aumentato il numero dei controlli antialcol (che comportano l'obbligo di sottoporsi a test per accertare che non si è grandi bevitori abituali).

Maurizio Caprino (fonte: Il Sole 24 Ore)