"Truffa dello specchietto"? È truffa aggravata
Caratteristiche e diffusione di un reato "da traffico"

Andiamo su un motore di ricerca e digitiamo “truffa dello specchietto”. Quello che otteniamo, è una specie di (amaro) Giro d’Italia. Da Biella a Trapani, da Lecce a Livorno, la stampa locale registra – praticamente ogni giorno – il perpetrarsi del raggiro. Che è, nella sua dinamica, rapido ed efficace: la vittima, incolonnata nel traffico, avverte una lieve botta in corrispondenza della fiancata della propria auto; un attimo dopo, vede accostare una vettura con le quattro frecce accese, il cui conducente fa segno di fermarsi; quest’ultimo, con atteggiamento risoluto, mostra il proprio specchietto retrovisore rotto; dopodiché, simulando comprensione ed empatia, si dichiara disponibile ad accettare una cifra forfettaria (di solito 50 o 100 euro) senza mettere di mezzo assicurazioni, burocrazia, documenti. Beninteso, il rumore percepito dalla vittima è stato intenzionalmente provocato da un bastone o da un lancio di pallina, mentre lo specchietto era già rotto prima.
I siti delle associazioni di tutela del cittadino e consumatore sono prodighi di consigli su come comportarsi in tali frangenti: scendere dall’auto e scattare qualche foto (se il danno è evidente deve per forza esserci un segno, sia pur minimo, anche sullo specchietto dell’altro veicolo); chiedere immediatamente nome, cognome e numero di telefono all’interlocutore e fargli uno “squillo” prima di iniziare qualsiasi discussione (nessun truffatore ci tiene a essere identificato o rintracciato); in caso di atteggiamenti da subito minacciosi o aggressivi, non uscire dall’abitacolo e chiamare le forze dell’ordine.
Tuttavia, il fenomeno criminoso è consolidato, non saltuario. Talmente consolidato da essere approdato pure in Cassazione: il top dei giudizi penali. Con una sentenza di poche settimane or sono, la Suprema Corte ha riconosciuto che si tratta non di truffa semplice, ma di truffa aggravata: un’imputazione pesante, quindi.
L’aggravante è quella della cosiddetta minorata difesa: “l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”, recita il Codice Penale. Per la Cassazione, il fatto stesso di essere imbottigliati nel traffico, tesi e innervositi dalle mille difficoltà della guida, rende credibile il tamponamento e abbatte le nostre capacità critiche e reattive.
Ed è un’osservazione che, al di là dei tecnicismi con cui operano i penalisti, dovrebbe farci un po’ riflettere in un’ottica di mobilità. In mezzo al traffico, siamo effettivamente menomati. Vulnerabili ed esposti a mille insidie.