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Il dizionario della sostenibilità

La parola del giorno: Cambiamento climatico

Da anni ormai è ricorrente l’espressione cambiamento climatico e che spesso accostata a esperienze negative e a minacce per l’ambiente.

Ma in realtà, cosa è cos’è il cambiamento climatico?

I cambiamenti climatici sono variazioni di lungo periodo delle condizioni climatiche medie della Terra o di ampie zone del pianeta. Da sempre il clima della Terra subisce mutamenti. Il problema è che i cambiamenti climatici osservati a partire dall’inizio del Novecento non sono naturali, bensì causati da attività umane, in particolare dall’utilizzo dei combustibili fossili. Un’interferenza nei delicati equilibri della natura che sta determinando siccità, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello dei mari, aumento delle precipitazioni, perdita della biodiversità.

Addirittura, il dizionario Treccani amplia parecchio la definizione: ‘Il concetto di cambiamento climatico implica fattori politici, giuridici, etici, economici e scientifici, andando ben oltre il significato associato alle variazioni naturali del clima, che si sono succedute sulla superficie terrestre nel corso del tempo geologico’.

Il rischio che si verifichino cambiamenti climatici è associato all’aumento della concentrazione in atmosfera di gas e aerosol, prodotti dalle attività umane e in grado di operare come agenti di cambiamento climatico (cd drivers).

Tra questi, i più significativi sono i cosiddetti LLGHG (Long Lived GreenHouse Gas), ossia diossido di carbonio (CO2), metano (CH4), monossido di diazoto (N2O), idroclorofluorocarburo (HCFC), idrofluorocarburo (HCF), perfluorocarburo (PCF), esafluoruro di zolfo (SF6).

Ma quali sono i rischi concreti che si presentano? Tra i più noti e comuni, la riduzione delle calotte polari e dei ghiacciai, la sommersione di vaste zone costiere, eventi meteorologici estremi (tifoni, uragani, inondazioni, siccità ecc.), scomparsa di numerose specie animali e vegetali ovvero migrazioni di massa.

La lotta ai cambiamenti climatici è divenuta prioritaria e argomento di discussione confronto nelle politiche nazionali e internazionali tanto da vedere un coordinamento globale per combatterli.

Nel dicembre del 2015 a Parigi 195 Paesi hanno firmato un accordo per impegnarsi a mantenere l’aumento delle temperature medie entro la fine del secolo al di sotto di 1,5 gradi e con un limite massimo di 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali.

Per rimanere entro questa soglia, l’International panel on climate change (Ipcc, il gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico fondato nel 1988 dalle Nazioni unite allo scopo di fornire ai decisori politici basi scientifiche sul cambiamento climatico) ha indicato come obiettivo la neutralità carbonica, ovvero le emissioni nette zero, entro il 2050. Dopodiché sarà necessario cominciare ad assorbire la CO2 già presente in atmosfera attraverso pozzi artificiali.

L’accordo di Parigi, in ece, è il primo accordo internazionale sul clima giuridicamente vincolante. Esso prevede che ogni Stato definisca i propri Nationally determined contributions (Ndc), i contributi nazionali per il contenimento delle emissioni. Le radici di questo accordo risalgono al 1992 con l’approvazione a Rio de Janeiro della prima Convenzione quadro sul cambiamento climatico delle Nazioni unite (Unfccc). Da questa convenzione sono derivate le Conferenze delle parti (Cop) annuali. La prossima sarà la Cop26 del 2021, rimandata di un anno a causa della pandemia da Covid-19.

Prima della pandemia, il 2020 era considerato l’anno cruciale nella lotta al cambiamento climatico perché gli Stati ratificatori dell’accordo di Parigi dovevano ridefinire al rialzo i propri contributi. Per rimanere entro la soglia di 1,5 gradi, i Paesi dovrebbero dunque quintuplicare i propri Ndc, con un taglio del 55 percento delle emissioni rispetto al 2018 ed entro il 2030, secondo l'Emission gap report dell’Onu. Uno sforzo enorme se si pensa che le emissioni di CO2 a livello globale sono cresciute del due per cento nel solo 2018.

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